Alessandro Di Battista, deputato del Movimento 5 Stelle, ha scritto lo scorso 9 settembre sulla propria pagina Facebook: “La classe politica più corrotta d'Europa (quella italiana) in queste ore sta pensando di rendere più difficili le indagini sulla corruzione e di imbavagliare la stampa impedendo la trascrizione delle intercettazioni negli atti giudiziari”.
Di Battista solleva una questione complicata e lo fa con qualche semplificazione. Anche se ci dobbiamo basare su indiscrezioni dei media, vediamo che cosa si può dire della sua dichiarazione.
La questione della corruzione
La percezione
Per prima cosa: non ci sono molti elementi oggettivi a sostegno dell’affermazione di Di Battista che la classe politica italiana sia la più corrotta d’Europa.
Nella sua relazione al Senato nel luglio del 2015, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione Raffaele Cantone aveva dichiarato: “Non si tenterà, invece, neanche di sfiorare la questione, da più parti sollevata, se la corruzione sia o meno in aumento e se la celebre stima di costo di 60 miliardi di euro sia realistica; si tratta, infatti, di interrogativi che, pur legittimi, non trovano a oggi risposte affidabili, anche per la mancanza di dati scientificamente validati”.
Cantone è perfino troppo prudente: fa riferimento alla questione dei 60 miliardi, da noi già analizzata e valutata come una bufala, e sembra riferirsi – sulla questione dell’aumento o meno della corruzione – all’indice di percezione della corruzione (CPI) nel settore pubblico e politico, elaborato da Transparency International.
In base al CPI, risulta comunque che non siamo gli ultimi in Europa, anche se la situazione del Paese è sicuramente preoccupante.
Dalla classifica risulta che peggio di noi fanno, nell’Unione Europea, Grecia e Bulgaria. Al di fuori della Ue, ma sempre in Europa, troviamo poi dietro l’Italia anche Montenegro, Serbia, Bielorussia, Albania, Bosnia e Herzegovina, Macedonia, Kosovo e Ucraina.
Si potrebbe comunque dire che l’Italia sia ultima in Europa occidentale ma come risulta già dal nome dell’Indice, oltre che dalle parole di Cantone, si tratta di “percezione” e non di dati reali.
Certo la classe politica italiana non se la cava molto bene, quanto a fiducia (che però è una cosa ben diversa dall’essere in effetti corrotta): sempre in base alla percezione, infatti, l’indice del World Economic Forum che misura la fiducia nei politici piazza l’Italia 116esima su 138 Paesi presi in considerazione.
Il rapporto GRECO
Un ente internazionale dà un giudizio più sfumato sulla corruzione italiana. Si tratta del GRECO, il “gruppo di Stati contro la corruzione”, che valuta la conformità dei suoi 49 Stati membri con gli strumenti di lotta alla corruzione stabiliti dal Consiglio d’Europa, e del suo rapporto di valutazione dell’Italia adottato lo scorso ottobre.
Da un lato, il rapporto ribadisce alcune criticità rimaste nel sistema italiano – ad esempio la mancanza di una legge sul conflitto d’interessi dei parlamentari, o il nostro anomalo regime di prescrizione – ma nel complesso il giudizio sui recenti sviluppi della legislazione è positivo.
Il rapporto elenca infatti le riforme fatte per contrastare la corruzione a partire dal 2012, con la legge 190 di quell’anno (la cosiddetta “legge Severino”), a cui sono seguite la 114 del 2014 (semplificazione, trasparenza ed efficienza degli uffici giudiziari) e la 69 del 2015 (norme anticorruzione e falso in bilancio).
A queste si può aggiungere anche il decreto legislativo 97 del 2016, che ha semplificato e riordinato le norme anti-corruzione.
Come si legge nel rapporto, “il gruppo si è compiaciuto dei miglioramenti summenzionati, pur formulando osservazioni sulle questioni in sospeso e la via da seguire”.
Conclusione
Dunque, se è vero che la corruzione resta ancora uno dei gravi problemi che interessano l’Italia, è anche vero che la classe politica degli ultimi 5 anni viene ritenuta responsabile di alcuni sensibili miglioramenti rispetto agli anni precedenti.
Le classifiche fondate sulla sola percezione non consentono di affermare con sicurezza che la classe politica italiana sia la più corrotta in Europa, e comunque in quelle classifiche l’Italia resta davanti a una decina di capitali europee.
La legge sulle intercettazioni
Cosa dice la legge
Veniamo al cuore dell’accusa di Di Battista: il Parlamento starebbe per votare una legge che, impedendo la trascrizione delle intercettazioni negli atti giudiziari, rende più difficili le indagini per corruzione e mette il bavaglio alla stampa.
La riforma delle intercettazioni dovrebbe essere imminente: è prevista dalla riforma Orlando del processo penale (la legge 103 del 2017) che (art. 1, commi 82 e 83) dà tre mesi di tempo al governo per emanare i decreti legislativi. La legge è entrata in vigore il 3 agosto, e dunque l’esecutivo ha tempo fino al 3 novembre.
La legge delega fissa alcuni principi (comma 84) a cui il governo si dovrà attenere.
In base ad essi, si dovrà garantire “la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione”, nel rispetto della Costituzione, e “attraverso prescrizioni […] che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine”. Insomma, bisogna garantire la riservatezza delle comunicazioni intercettate, e chiarire quando e come queste debbano essere usate per le indagini o archiviate e mantenute segrete.
La legge prosegue chiedendo uno “speciale riguardo” per la tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle “persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale”.
Segue una descrizione sommaria del tipo di conversazioni (quelle penalmente irrilevanti) che dovrebbero essere stralciate e della procedura per selezionare il materiale rilevante – in contraddittorio tra accusa e difesa – e tenere a disposizione, ma nascosto al pubblico, quello irrilevante.
Le indiscrezioni
Vediamo ora alcune indiscrezioni di stampa degli ultimi giorni, che riguardano appunto i decreti attuativi che starebbe preparando il governo. Questi sono alla base della dichiarazione di Di Battista.
Le bozze che circolano al ministero della Giustizia prevederebbero una modifica dell’articolo 268 del codice di procedura penale. Verrebbe istituito il divieto, finora non presente, di trascrizione delle comunicazioni o conversazioni che non hanno rilevanza per l’indagine.
Non solo. Potrebbe essere introdotto anche il divieto di trascrivere il contenuto integrale delle comunicazioni, per ammettere soltanto un richiamo al loro contenuto. Insomma, basta coi virgolettati.
Secondo la ricostruzione del Sole 24 Ore, “il procedimento allo studio attraverso cui acquisire a processo le intercettazioni potrebbe prevedere poi alcune fasi precise: deposito delle intercettazioni, richiesta del pm al giudice di acquisire le conversazioni ritenute rilevanti ai fini di prova e un’udienza, fissata entro due giorni dalla presentazione della richiesta, per selezionare la documentazione […]. Tutto quanto non viene acquisito, va restituito immediatamente al pm per la conservazione nell’archivio riservato ed è coperto da segreto”.
Sono cose sostanzialmente in linea con quanto previsto dalla legge delega. Sottolineiamo però che si tratta comunque di bozze, e che il ministro Orlando avrebbe già dato la disponibilità a intervenire con modifiche dove necessario (ad esempio sulla questione dei virgolettati).
Rischi per le indagini
In base agli elementi emersi, tra legge delega e indiscrezioni, non si può parlare di un pericolo che le indagini vengano “rese più difficili”, come afferma Di Battista.
Le indagini spettano infatti al pubblico ministero, la cui facoltà di ricorrere alle intercettazioni non verrebbe limitata. I limiti che la riforma andrebbe a porre hanno a che vedere con la pubblicità (la pubblicazione) delle intercettazioni e non con la loro utilizzabilità nelle indagini.
Con l’eliminazione delle conversazioni prive di rilevanza penale dal proprio fascicolo, ed eventualmente il riassunto dei virgolettati rilevanti, il Pm eviterebbe di esporre alla gogna pubblica persone innocenti (tutti sono considerati tali fino a sentenza definitiva) se non estranee alle indagini, o addirittura vittime (si pensi ai dettagli pornografici dei recenti casi di stupro). Ma ne sarebbe comunque a conoscenza.
Le intercettazioni divengono pubbliche, infatti, al momento del deposito degli atti (disposti dal Pm) che le contengono nel processo. Fino a quel momento, sono coperte da segreto istruttorio. Senza lo stralcio delle parti irrilevanti prima del deposito c’è il rischio – come accade oggi – che vengano resi pubblici nomi e conversazioni che non hanno rilevanza penale.
Oltretutto, in base a quanto stabilisce la legge delega, la decisione di quali intercettazioni vadano considerate rilevanti o meno avverrà di fronte al giudice, con il contraddittorio di accusa e difesa. La garanzia che l’ordinamento concede per evitare il pericolo di discrezionalità.
Il rischio, piuttosto, è un allungamento dei tempi del processo, col rischio di estinzione per prescrizione. Ma anche in questo caso sarebbe più da incolpare il regime della prescrizione italiano che non la nuova norma.
Si può aggiungere, infine, che una disposizione della legge delega chiede anzi di ampliare l’utilizzabilità delle intercettazioni. La lettera d) del comma 84, chiede al legislatore di prevedere “la semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”. Insomma, per la categoria di reati in cui rientra anche la corruzione, la legge delega vorrebbe rendere più facile l’uso delle intercettazioni.
Rischi per la stampa
Che la stampa risenta negativamente di questa riforma è invece certo, anche se parlare di “bavaglio” è un giudizio politico (legittimo) di Di Battista. L’obiettivo stesso della riforma è infatti quello di comprimere il diritto di cronaca, per dare una maggior tutela al diritto alla riservatezza delle comunicazioni dei soggetti coinvolti nelle indagini.
Perché ci sia diritto di cronaca, non serve che un determinato fatto abbia rilevanza penale, ma è sufficiente che sia di “interesse pubblico”, cioè che – secondo la giurisprudenza di Cassazione – l’informazione veicolata abbia una “utilità sociale”.
Dunque è teoricamente possibile che la difesa, durante il contraddittorio, riesca a far eliminare dagli atti, che poi vengono depositati, conversazioni che non hanno alcun rilievo da un punto di vista del diritto penale, ma che sarebbero invece teoricamente di interesse pubblico.
(Se il giornalista riesce comunque ad ottenere tali informazioni e a divulgarle non rischia comunque la condanna, in quanto il diritto di cronaca lo tutela).
Si tratta di un caso tanto più possibile quanto più è largo il concetto di interesse pubblico. Per fare degli esempi del passato: se i nomignoli con cui Berlusconi veniva deriso dalle “olgettine” sono un’informazione di interesse pubblico, allora vietare la pubblicazione negli atti processuali di quelle intercettazioni ostacola il diritto di cronaca.
Riassumendo: Di Battista esagera quando dice che la classe politica italiana è la più corrotta d’Europa (e non ci sono comunque elementi per dirlo con certezza). Stando alle indiscrezioni, poi, ha ragione quando dice che la stampa risentirà negativamente dalle nuove regole sulle intercettazioni, ma le sue previsioni di conseguenze negative sulle indagini non sembrano fondate.
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