L’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, intervistato dalla Stampa il 4 luglio, ha dichiarato: “Se il governo fa certe affermazioni sul nostro debito e sulle regole europee e tutto questo raddoppia lo spread, passato da quota 120-130 del 2017 a 230-240, questo significa l’1 per cento in più rispetto allo stock dei titoli di Stato che dobbiamo vendere quest’anno: un ‘costo’ di circa 5 miliardi e mezzo in più”.
Si tratta di un’affermazione imprecisa.
L’andamento dello spread
- Nel 2017
Lo spread è la differenza di rendimento tra i titoli del debito italiani e tedeschi. Per convenzione si considera quella relativa ai titoli decennali (Btp e Bund), anche se l’aumento del rischio percepito relativo a un Paese fa sentire le sue conseguenze su tutti i vari titoli del debito (annuali, triennali, quinquennali e così via).
Nel 2017 lo spread ha oscillato tra un massimo di circa 200 punti a fine febbraio e un minimo di 135 punti a inizio dicembre.
Andamento dello spread negli ultimi 24 mesi
Se guardiamo all’esito delle aste del Tesoro, infatti, lo scorso anno siamo passati dal 2,37% di rendimento lordo dei Btp decennali di gennaio (massimo) all’1,73% di novembre (minimo). L’ultima asta del 2017, di dicembre, si è chiusa con un rendimento lordo di 1,86%. La media dell’anno, in ogni caso, è stata del 2,1%.
Andamento del rendimento dei Btp 10 anni negli ultimi 24 mesi
Nel 2017 i Bund tedeschi a dieci anni hanno invece oscillato tra un rendimento minimo dello 0,2% e uno massimo dello 0,6%.
Andamento del rendimento dei Bund 10 anni negli ultimi 24 mesi
L’andamento dello spread è dunque ovviamente influenzato da entrambe le variabili, e cioè l’andamento dei titoli tedeschi e quello dei titoli italiani, ma il primo è storicamente molto stabile e per questo viene preso come riferimento.
Ad esempio, il minimo e il massimo dello spread del 2017 si sono registrati in due momenti in cui il rendimento dei Bund era molto simile (sempre intorno allo 0,3%).
- Nel 2018
Nel 2018 lo spread ha inizialmente fatto registrare valori bassi, in linea con l’andamento calante di fine 2017, tra i 120 e i 140 punti. Da inizio maggio ha tuttavia subito un’impennata, che lo ha rapidamente portato a toccare quota 300 per poi assestarsi nelle ultime settimane intorno ai 230-240 punti.
Andamento dello spread negli ultimi 6 mesi
Secondo diversi osservatori, il motivo di questa impennata sono stati i timori per le posizioni del nascente governo Lega-M5S sull’euro – in particolare legati al “caso Savona” – e sul debito pubblico, come affermato da Gentiloni.
Il rendimento dei titoli decennali da maggio in poi è dunque significativamente cresciuto. Nell’asta di fine maggio il rendimento lordo dei Btp a 10 anni ha toccato il 3% (peggior risultato da maggio 2014), per poi calare al 2,77% nell’asta di fine giugno.
Andamento del rendimento dei Btp 10 anni negli ultimi 24 mesi
Tiriamo le fila
Gentiloni dunque è impreciso nei presupposti dei suoi calcoli. Lo spread nel 2017 ha oscillato tra i 130 e i 200 punti circa, non tra 120 e 130. Vero invece che dopo l’impennata di maggio lo spread sia ora intorno ai 230-240 punti.
Ma perché sia vero, come afferma Gentiloni, che nel 2018 avremo un punto percentuale di rendimento in più da dover pagare sui nostri titoli del debito rispetto all’anno scorso, la media dei rendimenti lordi dell’anno in corso dovrebbe assestarsi al 3,1% circa (per i Btp decennali, per gli altri titoli l’aumento di un punto porterebbe a cifre diverse).
Difficile che questo accada. Le aste di Btp decennali dei primi quattro mesi hanno fatto registrare valori molto più bassi (2,06% a gennaio e febbraio, 1,83% a marzo e 1,7% ad aprile), e il picco del 3% di maggio è rimasto insuperato a giugno (2,77%): una media così alta sembra oggi improbabile, salvo improvvise e gravi crisi.
Ma ipotizziamo che un simile innalzamento dei rendimenti lordi – di Btp a 10 anni e anche degli altri titoli – si verifichi nei prossimi mesi e vediamo se il “costo” di 5,5 miliardi stimato da Gentiloni sarebbe corretto.
Il costo degli interessi
L’Ufficio parlamentare del Bilancio, lo scorso ottobre, ha pubblicato uno studio in cui – utilizzando un complesso modello di analisi - si prevede che, a fronte di un eventuale aumento di 100 punti di spread a partire da gennaio 2018, il costo degli interessi aumenterebbe di 1,8 miliardi nel 2018, di 4,5 miliardi nel 2019 e di 6,6 miliardi nel 2020.
L’aumento di 100 punti di spread sullo stock di debito del 2018 - che secondo i calcoli del Sole 24 Ore basati sulle stime del Dipartimento del Tesoro dovrebbe ammontare a 390 miliardi di euro - produrrebbe maggiori costi per 1,8 miliardi nel 2018, 2,7 miliardi nel 2019 e 2 miliardi nel 2020.
Questo perché il primo anno l’aumento dello spread non dispiegherebbe interamente i suoi effetti, dato che i titoli vengono emessi durante tutto l’arco dei dodici mesi. Si farebbe sentire maggiormente nel secondo, e inizierebbe a calare nel terzo, con la scadenza della massa di titoli semestrali, annuali e biennali.
Nel complesso, quindi, un aumento di 100 punti di spread sullo stock di debito che l’Italia immette sul mercato nel 2018 costerebbe 6,5 miliardi nei primi tre anni.
Probabilmente Gentiloni ha visto questa cifra ma ha sbagliato (per difetto) nel citarla, parlando di 5,5 miliardi di euro.
Conclusioni
L’affermazione di Gentiloni è imprecisa, sotto alcuni punti di vista. È sbagliata la quantificazione dello spread nel 2017, che ha oscillato tra 130 e 200 punti, e non tra 120 e 130. È poi improbabile che, nonostante l’effettivo aumento dello spread successivo a maggio, nel 2018 i titoli del debito pubblico italiano vengano venduti con rendimenti così alti da risultare, in media, di un punto superiori a quelli dell’anno precedente.
Se però così fosse, la stima di 5,5 miliardi è piuttosto corretta. Secondo lo studio dell’Ufficio parlamentare del bilancio, lo stock di debito messo in vendita nel 2018 a fronte di un eventuale aumento di 100 punti avrebbe maggiori costi per 6,5 miliardi nei primi tre anni. Una cifra non troppo distante da quella menzionata dall’ex presidente del Consiglio.
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