Il 30 settembre, a margine della presentazione del libro di Alberto Ciò “Energia e clima. L’altra faccia della medaglia” (edito dal Mulino) nell’Archiginnasio di Bologna, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha dichiarato: “Ricordo a tutti che siamo il Paese che oggi produce più energia rinnovabile in Europa e forse nel mondo”. L’affermazione di Galletti è imprecisa.
In realtà con le rinnovabili meglio di noi fanno molti Paesi, in percentuale
Se guardiamo alla percentuale di fornitura di energia elettrica (primary energy supply) coperta da fonti rinnovabili, l’Italia – in base ai dati dell’Ocse aggiornati al 2014, ultimo anno con una sufficiente copertura per fare un paragone internazionale – totalizza il 18,1%.
Meglio di noi fanno moltissimi Paesi. In Europa, ad esempio, ci sopravanzano:
- Austria (30,4%),
- Danimarca (27,4%),
- Finlandia (29,9%),
- Islanda (89,1%),
- Norvegia (45,6%)
- e Portogallo (26,2%).
Anche nel resto del mondo ci sono numerosi Paesi che fanno registrare percentuali molto più elevate. Ad esempio:
- la Nigeria (81%),
- l’Etiopia (94,1%)
- e il Kenya (82,8%) in Africa.
Nel continente africano, sottolinea uno studio di Nature, le rinnovabili trovano un terreno fertile – anche se non mancano i problemi, ad esempio infrastrutturali – grazie alle immense risorse fornite dalla natura (sole e vento soprattutto, visto che i fiumi sono già molto sfruttati e questo crea problemi a cascata sulle popolazioni), alla caduta dei prezzi di tali tecnologie e all’assenza di un tessuto industriale già sviluppato incentrato sui carbonfossili.
Si possono poi citare, come altri esempi:
- l’Indonesia (34,4%)
- il Nepal (83,2%)
- l’India (25,3%)
- le Filippine (38%)
- Il Brasile (38,6%)
- la Colombia (23,5%)
- il Cile (26,4%)
Il Paraguay raggiunge addirittura il 135,2% secondo l’Ocse: il Paese, che ha appena 6,7 milioni di abitanti, produce l’intero fabbisogno energetico in due impianti idroelettrici e vende il surplus ai Paesi vicini.
La produzione da rinnovabili, in valore assoluto. Stesso risultato
Galletti probabilmente non faceva tuttavia riferimento alla percentuale, visto che competere con Paesi piccoli e con enormi – in proporzione – risorse naturali (come ad esempio l’Islanda) rischia di falsare il confronto.
Vediamo allora la produzione da energie rinnovabili in migliaia di “toe” (cioè l’equivalente di energia prodotta da una tonnellata di greggio). Nel 2014 l’Italia, sempre in base alla classifica dell’Ocse, faceva registrare un dato di 26.512,5 migliaia di toe.
Anche in questo caso sono molti i Paesi – anche se meno di prima – che fanno meglio dell’Italia. Ovviamente, trattandosi qui di produzione in valore assoluto, in questa classifica sono avvantaggiati gli Stati più grandi e popolosi. Troviamo così davanti all’Italia:
- il Brasile (119.987 migliaia di toe),
- il Canada (50.127),
- la Cina (342.881),
- il Congo (27.089),
- l’Etiopia (45.507),
- la Germania (35.404),
- l’India (208.689),
- l’Indonesia (77.649),
- la Nigeria (109.065),
- il Pakistan (34.858)
- gli Usa (152.315).
La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, forse?
L’Italia non è dunque in testa in quanto a produzione di energia da fonti rinnovabili né come percentuale della fornitura di energia primaria, né come valore assoluto in migliaia di toe. La cosa più probabile è che Galletti facesse riferimento alla sola energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. In questo ambito infatti la buona performance dell’Italia è stata spesso menzionata anche in passato.
A fine 2015, ad esempio, era stato presentato il rapporto della fondazione Symbola – che promuove la soft economy – “L’Italia in 10 selfie”. Il “quarto selfie”, che prende i dati da un precedente rapporto curato insieme ad Enel, recita: “Nel 2012 l’Italia era prima (con il 39%) tra i grandi paesi Ue, a pari merito con la Spagna e davanti a Germania (24%), Francia (17%), Gran Bretagna (15%), per quota di energia rinnovabile nella produzione elettrica. Nel 2014 la quota di rinnovabili ha superato il 43%”.
Quest’ultimo dato è confermato anche dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che quantifica appunto la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili al 43,1%.
Nel 2015 – secondo uno studio del luglio 2017 dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico – “si è assistito a una lieve diminuzione, imputabile alla scarsa idraulicità: l’incidenza sul totale della produzione lorda di energia elettrica è stata pari al 38,5% (il 33,1% sul consumo interno lordo). Anche il 2016 ha fatto registrare un’ulteriore riduzione fino a circa 106 TWh nuovamente imputabile alla scarsa idraulicità”.
Ma è un primato da prendere con le pinze
Questi buoni dati fanno tuttavia riferimento alla produzione autoctona di energia elettrica. In questa voce non pesano dunque le importazioni. Per fare un esempio paradossale: se un Paese importasse il 90% del suo fabbisogno di energia elettrica dall’estero e il 10% lo producesse con fonti rinnovabili, il dato relativo alla produzione da fonti rinnovabili farebbe segnare il 100%.
L’Italia importa, in particolare da Francia e Svizzera, poco meno del 15% del suo fabbisogno – era il 13% nel 2012, il 14% nel 2013 – e produce il resto. Dunque il peso della produzione da fonti rinnovabili si “annacqua” se si considera il consumo interno lordo.
Se guardiamo a questo parametro, nel 2015 secondo Eurostat l’Italia registrava un 33,5% di incidenza nei consumi dell’energia elettrica da fonti rinnovabili (il 33,1% citato dall’Autorità per l’energia, da cui si discosta probabilmente per minime discrepanze nei rilievi statistici). Davanti a noi ci sono Svezia (65,8%), Portogallo (52,6%), Lettonia (52,2%), Danimarca (51,3%), Croazia (45,4%), Romania (43,2%) e Spagna (36,9%).
Conclusione
Galletti è impreciso ma, se interpretiamo la sua affermazione come riferita esclusivamente alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ha sostanzialmente ragione. In Europa e tra i Paesi sviluppati, l’Italia è tra i migliori in quanto a percentuale di produzione elettrica da fonti rinnovabili. Se tuttavia guardiamo ai consumi o alla produzione di energia nel complesso, il ministro dell’Ambiente ha torto.
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