Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, ospite di Otto e Mezzo su La7 lo scorso 21 novembre, ha sostenuto (min. 14.35) che bisogna “restituire all’università 65 mila ragazzi di questo Paese che negli ultimi 10 anni hanno smesso di iscriversi perché non se lo possono più permettere”.
Fratoianni, sulla quantità di immatricolazioni perse negli ultimi dieci anni, ha torto. Sulle ragioni del calo ha invece parzialmente ragione.
Il numero di iscritti negli ultimi 10 anni
Per prima cosa, vediamo se e quanto sono calate le iscrizioni nelle università italiane. Possiamo verificare i numeri consultando il servizio statistico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur).
Dieci anni fa, gli immatricolati – sia nelle lauree triennali che a ciclo unico – erano 305.847 (anno 2006/2007). Per l’anno accademico 2016/2017 le nuove matricole sono state 289.930.
Dunque la differenza, i ragazzi da “restituire”, ammonta a 15.917 matricole. Meno di un quarto dei 65 mila citati da Fratoianni.
Da dove nasce l’errore
L’errore del segretario di Sinistra Italiana è quello di fare riferimento a un dato non più aggiornato. Due anni fa, infatti, la quantificazione di Fratoianni sarebbe stata più o meno corretta.
Nell’anno accademico 2004/2005 gli iscritti furono 332.628. Dieci anni dopo, nell’anno 2014/2015, erano scesi a 270.510, cioè 62.118, quasi i 65 mila citati da Fratoianni.
La questione era stata affrontata anche da un’inchiesta di Repubblica, del gennaio 2016, che citando dati Ocse – leggermente diversi da quelli del Miur – arrivava a una perdita totale di immatricolati di 65.396 unità.
L’andamento delle immatricolazioni
Si può dire, guardando ai dati delle immatricolazioni, che dopo un decennio di calo costante, gli ultimi tre anni abbiano visto una ripresa delle iscrizioni.
Gli immatricolati sono infatti scesi dai 332.703 del 2003/2004 fino ai 252.457 del 2013/2014. Un primo brusco calo è avvenuto tra il 2005 e il 2007, quando si scese quasi a 300 mila matricole. Poi di nuovo tra il 2010 e il 2014, quando si passò da 290 mila matricole a poco più di 250 mila.
Nel 2014/2015 è arrivato un primo segnale di ripresa, con le immatricolazioni che sono risalite a 270 mila. L’anno dopo si è toccata quota 276 mila e nel 2016/2017 appunto quasi 290 mila. Un livello che non veniva toccato dal 2010.
Il calo anche in percentuale
Il periodo di calo, oltre che dai numeri assoluti, è confermato anche da un altro indicatore: la percentuale di diplomati che decide di iscriversi all’Università. Così la componente demografica – un anno possono esserci più o meno diplomati rispetto ad un altro – non altera la valutazione.
Secondo l’Istat, nel 2008/2009 la percentuale di diplomati che si iscriveva all’Università era il 60,1% e sei anni dopo, nel 2013/2014, era sceso al 49,8%. Più di dieci punti di diminuzione.
Nel 2014/2015, ultimo dato disponibile, si è registrata un ulteriore calo della percentuale, a 49,1 punti. Questo nonostante un aumento delle immatricolazioni quell’anno, segno che molti nuovi iscritti all’Università non erano dei neo-diplomati.
Nei dati di prossima pubblicazione si vedrà se, alla ripresa in numeri assoluti delle immatricolazioni degli ultimi due anni, corrisponderà un aumento anche del tasso di passaggio dalla scuola secondaria di secondo grado all’Università.
I motivi del calo
Fratoianni ha però in parte ragione nell’indicare come cause del calo delle immatricolazioni – pur molto meno consistente di quello da lui dichiarato – le difficoltà economiche.
Secondo il rapporto dello Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) del 2016, la diminuzione di nuovi iscritti all’Università – accentuata soprattutto al Sud Italia – dipende da “vari fattori”, tra cui “l’indebolimento di una efficace politica di sostegno allo studio per i meno abbienti, soprattutto al Sud”.
In generale, scrive ancora lo Svimez, “hanno pesato, specie nella crisi, la possibilità delle famiglie di sostenere i costi crescenti dell'istruzione terziaria (tasse, carenze di strutture ricettive per i fuori sede, ecc.). E tuttavia, a gravare sulle scelte dei giovani di investire nella formazione più avanzata è stato anche il processo di downgrading delle occupazioni, la progressiva emarginazione dei giovani più istruiti sul mercato del lavoro aggravata dalla crisi”.
Dunque, in base ad alcuni studi, si può dire che il calo degli iscritti è in parte dovuto, come sostiene Fratoianni, all’aumento dei costi dell’educazione terziaria da un lato e dalla diminuzione dei guadagni delle famiglie durante la crisi (“non se lo possono permettere”). Ma non solo. Pesano altri fattori, in particolare la carenza di prospettive per i giovani laureati nel mercato del lavoro o, per citare ancora il rapporto Svimez, l’assenza di “università tecniche (sul modello tedesco)”.
Conclusione
Fratoianni cita un dato vecchio di due anni, e oggi non più attuale. Il calo non è di 65 mila ragazzi ma di 16 mila, se guardiamo solo al numero di iscritti ogni anno. Il segretario di Sinistra Italiana ha poi parzialmente ragione ad indicare come causa del calo la difficoltà economica delle famiglie. Ma non è l’unica.
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