L’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha sostenuto in diverse occasioni – qui e qui, ad esempio – che una “flat tax” al 15% che riguarda circa un milione di italiani già ci sia, e che sia stata introdotta dal suo governo.
Gli annunci di esponenti del governo sul tema, ad esempio Salvini ha detto che sarebbe una “enorme soddisfazione” se l’anno prossimo “un milione, un milione e mezzo” di italiani pagheranno il 15% dei loro ricavi, andrebbero insomma ridimensionati.
Quella di Renzi è un’affermazione sostanzialmente corretta, con qualche precisazione.
Non è una flat tax, ma cos’è?
Continuiamo a usare l’espressione “flat tax” perché è quello utilizzato dagli esponenti del mondo politico e del governo, ma in realtà non si tratta di una vera e propria flat tax. Questa infatti, secondo le definizioni più autorevoli che avevamo riportato anche in passato, è “un sistema di tassazione che applica una singola aliquota fiscale a tutti i livelli di reddito”.
Ma nel Documento programmatico di bilancio 2019 – la “bozza” della prossima legge di stabilità - si parla di “prima fase di attuazione della flat tax”. In sostanza, spiega ancora il Documento programmatico, si tratta di un “innalzamento delle soglie minime per il vigente regime semplificato d’imposizione su piccole imprese, professionisti e artigiani”.
Vengono cioè cambiate le soglie di reddito al di sotto del quale le persone fisiche che hanno una partita Iva possono pagare, già oggi, un’aliquota Irpef agevolata. Non viene invece introdotta un’aliquota unica per tutti i contribuenti.
Venendo ai numeri, la “flat tax” del Documento programmatico consiste nell’innalzamento a 65 mila euro della soglia di reddito, indipendentemente dall’attività esercitata, al di sotto della quale “le persone fisiche esercenti attività di impresa” pagano l’aliquota Irpef agevolata al 15%.
Ma qual era la situazione precedente?
Il regime agevolato fino ad oggi
Già oggi circa un milione di partite Iva gode di un regime agevolato di tassazione uguale o inferiore al 15%.
Sono coloro che godono del regime fiscale di vantaggio oppure di quello forfettario, due regimi fiscali che hanno subito parecchie modifiche negli anni recenti.
Fino alla legge di stabilità per il 2015 esisteva il regime fiscale di vantaggio, che prevede un’aliquota Irpef al 5 per cento: se ne può beneficiare solamente per cinque anni, ma non oltre il compimento del trentacinquesimo anno di età.
Con la legge di stabilità per il 2015 (l. 190/2014, art. 1 co.64 e ss.) quel regime fiscale è stato abolito per il futuro, lasciandolo in vita in via residuale per chi già lo aveva scelto in precedenza (fino alla scadenza dei 5 anni o al compimento del trentacinquesimo anno di età), e lo ha affiancato con un nuovo regime forfettario.
Quest’ultimo regime agevolato prevede che paghino un’aliquota del 15% i contribuenti che soddisfano tre requisiti: ricavi inferiori a determinate soglie, spese inferiori ai 5 mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e per compensi erogati ai collaboratori e, infine, il capitale fisico detenuto da queste partite Iva non deve superare i 20 mila euro.
Le soglie per beneficiarne, modificate poi dalla legge di stabilità per il 2016, variavano: si andava da un minimo di 25 mila euro per gli intermediari del commercio fino a un massimo di 50 mila per chi, ad esempio, fornisce servizi di alloggio o ristorazione.
Inoltre la legge di stabilità per il 2016 ha anche introdotto una ulteriore agevolazione per le nuove attività, in base alla quale queste pagano il 5% per i primi 5 anni.
Quanti erano i beneficiari finora?
Il Dipartimento delle Finanze ha certificato che nel 2016, ultimo anno per cui ci sono dati disponibili, le partite Iva che godevano del regime forfetario al 15% (o, per le nuove attività, al 5%) erano oltre 483.200.
Se però prendiamo in considerazione anche chi ancora sta godendo del precedente regime di vantaggio (il 5% per gli under-35 e per 5 anni), il totale sale a 935.406 contribuenti.
Il numero poi potrebbe essere cresciuto. L’Osservatorio sulle partite Iva del Ministero dell’economia e delle finanze, ad esempio, registra che nel 2017 hanno aderito 182.519 nuove partite Iva (oltre il 35% del totale) al regime forfettario. Se nel frattempo non è uscito dai regimi agevolati un numero più alto di partite Iva (come si potrà verificare solo alla pubblicazione dei nuovi dati complessivi) si avrebbe dunque un aumento.
Quindi cosa cambia?
In concreto, la novità che dovrebbe introdurre la prossima legge di stabilità amplia la platea delle partite Iva che possono godere del regime forfettario. Secondo un articolo del Sole 24 Ore di giugno “in Italia si calcola che ci siano poco meno di 4 milioni di partite Iva di persone fisiche”. Come visto, di queste già un milione circa paga il 15% o meno di Irpef.
Ma quanti sarebbero coinvolti dalle novità che vorrebbe introdurre il governo Conte?
Non abbiamo trovato studi pubblicamente consultabili su quanti sarebbero i contribuenti che al momento si trovano al di sopra delle soglie stabilite dalle precedenti leggi di stabilità, e che finirebbero invece al di sotto della soglia dei 65 mila euro, ottenendo così un abbassamento delle tasse dovute.
Dunque non sappiamo se il “milione, milione e mezzo” di contribuenti citato in passato da Salvini potrebbero essere effettivamente tutti nuovi beneficiari – quindi un terzo/metà del totale delle partite Iva che ancora non hanno un regime agevolato – o se si tratti di una somma tra chi già beneficia dei regimi di vantaggio e forfetari e i “nuovi”. In questo caso, per raggiungere il milione basterebbero poche decine di migliaia di nuovi beneficiari.
Conclusioni
È vero, come sostiene Renzi, che già in seguito alle norme varate dal suo governo – e a quelle precedentemente in vigore – in Italia ci sia circa un milione di partite Iva che paga un’aliquota Irpef del 15% o più bassa.
L’intervento previsto dal governo Conte dovrebbe allargare la platea dei beneficiari del regime forfettario (resta improprio parlare di “flat tax”) ma ancora non ci sono stime affidabili su quanti saranno potenzialmente i contribuenti coinvolti.
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