Nicola Rossi – economista, ex presidente dell'Istituto Bruno Leoni ed ex parlamentare del Pd – ha commentato favorevolmente la proposta di centrodestra di introdurre un’aliquota unica per le imposte sul reddito in un’intervista pubblicata dal Giornale lo scorso 27 febbraio e titolata “La mia sinistra sbaglia: la flat tax funziona e aiuterà i più deboli”.
In particolare, Rossi ha sostenuto che “la combinazione di una quota esente fissa e di una aliquota proporzionale crea una imposta progressiva. In altre parole: se la quota esente, quindi la no tax area, è fissata a 12 mila euro e la aliquota unica al 23 per cento, fino a 12 mila euro di reddito annuo non si pagano tasse, a 13 mila euro si paga l’imposta su mille euro. L’imposta netta è di 230 euro, pari al 3%. Se si guadagnano 20 mila euro, l'aliquota del 23 per cento si paga su ottomila euro. Sono circa 2.000 euro, pari a una tassazione del 10 per cento”.
Premessa
L’appoggio di Rossi per la flat tax non è comunque una novità. Prima ancora che iniziasse la campagna elettorale, nell’estate del 2017, lo stesso Rossi aveva curato un libro che presentava una proposta dell’Istituto Bruno Leoni per una flat tax al 25% per tutti i redditi.
Ma vediamo dunque qual è la situazione attuale e che effetti avrebbe la flat tax proposta dal centrodestra. Non ci occupiamo qui della sostenibilità economica di una simile proposta, essendocene già occupati anche in passato.
La situazione attuale
La premessa fondamentale da fare è che il sistema fiscale italiano, oggi, non è per niente semplice, e l’introduzione di un’aliquota unica con un’unica soglia di mancata tassazione sarebbe certamente una grande semplificazione.
La tassazione sul reddito delle persone fisiche ad oggi prevede diverse aliquote, che aumentano progressivamente all’aumentare del reddito. In base all’art. 11 del TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi), le aliquote Irpef sono:
- a) fino a 15.000 euro, 23 per cento;
- b) oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27 per cento;
- c) oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38 per cento;
- d) oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41 per cento;
- e) oltre 75.000 euro, 43 per cento.
Sono previste una serie di detrazioni, in particolare per “carichi di famiglia” (art. 12), spese sanitarie, scolastiche, funebri eccetera. Inoltre, è prevista una detrazione per redditi bassi (art. 13). Per questi ultimi si parla generalmente di no tax area” cioè una soglia di reddito entro la quale non si paga l’Irpef (l’imposta sul reddito).
In origine (L. 27.12.2002, n. 289, art. 2) la no tax area era una “deduzione”, cioè si sottraeva dalla base imponibile la soglia prevista. Con la finanziaria 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) è stata invece trasformata in una serie di “detrazioni” possibili.
Oggi dunque esistono tre soglie entro cui le detrazioni coprono interamente l’imposta - per dirla semplice, tre no tax area - a seconda del tipo di reddito percepito:
- 8.000 euro per i lavoratori dipendenti;
- 8.124 euro per i pensionati under e over 75 anni (prima della legge di Bilancio 2017 erano 7.750 €)
- 4.800 euro per i lavoratori autonomi.
Per i redditi superiori a tali soglie, ma inferiori ai 55 mila euro all’anno, sono comunque previste una serie di detrazioni (art. 13 TUIR) in base a calcoli che tengono conto della differenza del reddito dallo scaglione e dei giorni lavorati in un anno.
La proposta di Forza Italia
Rossi commenta quella che è la principale proposta del centrodestra in vista delle prossime elezioni. La flat tax si trova proprio in testa - al primo paragrafo del primo punto - del programma sottoscritto da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia. Qui tuttavia non sono forniti dei numeri precisi su aliquote e no tax area. Per avere una qualche indicazione possiamo però consultare il sito di Forza Italia.
Qui si legge la proposta di introdurre un’aliquota unica al 23% sul reddito delle persone fisiche, e di portare la no tax area a 12 mila euro. Gli stessi numeri utilizzati da Rossi, dunque.
La progressività della flat tax
Ha ragione Rossi a definire “un’imposta progressiva”, almeno in linea di principio, la combinazione di no tax area e aliquota unica. Infatti chi guadagna poco più della no tax area - ad esempio 13 mila euro, mille euro in più della soglia di esenzione prevista da Forza Italia - paga l’aliquota unica solo su quanto eccede: in base alla proposta del partito di Berlusconi, il 23% di 1.000 euro, cioè 230 euro, pari all’1,77% dei 13 mila ipotizzati.
Chi guadagna invece molto più della no tax area (ad esempio 62 mila euro, 50 mila euro in più), paga l’aliquota unica su un ammontare maggiore, e dunque sale anche la percentuale, avvicinandosi al 23%. Nell’esempio verrebbero pagati 11.500 mila euro (il 23% di 50 mila), che sono il 18,55% dei 62 mila euro di reddito.
Come evidente, la progressione tende, al salire del reddito, verso il 23%.
Un confronto tra la situazione attuale e quella futura
Per dare un’idea di come cambierebbe la situazione con la flat tax, facciamo due esempi teorici di quanto pagano e di quanto pagherebbero due lavoratori dipendenti con redditi molto diversi.
Nel primo caso ipotizziamo il contribuente dichiari, ai fini dell’Irpef, 15 mila euro di reddito annuo. In base alla normativa vigente – senza contare eventuali detrazioni per carichi di famiglia o altro – paga il 23%, cioè 3.450 euro. Da questi si possono detrarre 1.564,3 euro*, e il contribuente dovrebbe quindi pagare 1.885,7 euro di Irpef.
Se vigesse la flat tax ipotizzata da Forza Italia, il contribuente pagherebbe il 23% su 3 mila euro. Cioè 690 euro. Il suo “risparmio” con la flat tax sarebbe dunque di 1.195,7 euro, circa l’8 per cento del suo reddito.
Nel secondo esempio, ipotizziamo il contribuente dichiari 150 mila euro di reddito annuo. Con la normativa attuale – sempre senza eventuali detrazioni diverse da quelle legate al reddito dichiarato – pagherebbe il 43%, cioè 64.500 euro e non avrebbe detrazioni.
Se vigesse la flat tax – ipotizzando che la no tax area di 12 mila euro vigesse per tutti i redditi – pagherebbe il 23% su 138 mila euro, cioè 31.740 euro. Il suo “risparmio” con la flat tax sarebbe dunque di 32.760 euro, il 21,84% del suo reddito.
*In base all’art. 13 lettera b) TUIR, i redditi compresi tra gli 8 mila e i 28 mila euro hanno diritto a una detrazione pari a 978 euro + il prodotto tra 902 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 28.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 20.000 euro. Quindi 28.000-15.000 diviso 20.000 = 0,65, e 902 moltiplicato 0,65 è uguale a 586,3 euro. Sommando 978 e 586,3 si ottiene 1.564,3 euro.
Conclusione
Senza voler qui mettere il punto a una questione che dipende in massima parte dai dettagli (anche il regime tributario attuale è complicato da detrazioni variabili, coefficienti, sconti, bonus e via dicendo), possiamo dire che sì, la flat tax unita alla no tax area sarebbe un’imposta comunque progressiva, e che in linea teorica è vero aiuterebbe anche i “più deboli”, nel senso dei contribuenti meno abbienti.
Di contro bisogna però sottolineare come, sempre in linea teorica, aiuterebbe anche i “più forti”, cioè i contribuenti più ricchi, che avrebbero anzi – non solo in valore assoluto ma anche in percentuale rispetto al proprio reddito – un vantaggio maggiore* rispetto ai più deboli dall’introduzione della flat tax.
*Alla stessa conclusione, cioè che la flat tax aiuti più i redditi alti che quelli bassi, erano giunti anche gli economisti Massimo Baldini e Silvia Giannini, analizzando in modo approfondito su LaVoce.info la proposta dell’Istituto Bruno Leoni.
https://www.sharethefacts.co/share/96cd22da-623a-43a4-86ac-8827784af5cf
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