Il 15 maggio, ospite a DiMartedì su La7, il vicepremier nonché ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio ha parlato (min. 1:49:10) della possibilità da parte del nostro Paese di superare la soglia del 3 per cento per il rapporto deficit/Pil. Secondo il vicepresidente del Consiglio, questa ipotesi andrebbe supportata da una politica di recupero di risorse, dal momento che il nostro Paese "ha 300 miliardi di euro di evasione fiscale".
Una cifra enorme: per intenderci, oltre tredici volte quanto è stato stanziato per i prossimi tre anni per finanziare il reddito di cittadinanza; oppure cinque volte quello che spendiamo ogni anno per istruzione e interessi sul debito pubblico; o anche quasi il 16 per cento del Pil nazionale.
Ma è davvero così? Abbiamo verificato e i conti non tornano.
Di che cosa stiamo parlando?
In senso stretto, con l’espressione “evasione fiscale” si fa riferimento a tutti quei comportamenti dei contribuenti che, in maniera illegittima, cercano di non pagare le tasse. È un concetto che non va confuso con quello più ampio di tax gap, che indica la differenza tra quanto lo Stato incassa effettivamente con le imposte e quello che incasserebbe se tutti pagassero le tasse.
Chi evade le tasse, infatti, viola la legge: ma non necessariamente chi non paga le tasse lo fa violando intenzionalmente qualche norma. Un contribuente, per esempio, potrebbe non versare quanto dovuto allo Stato semplicemente per errore. Esiste poi l’elusione fiscale, che raccoglie un insieme di comportamenti più sfumati da un punto di vista legislativo, ossia tutte quelle decisioni dei contribuenti che pagano meno tasse del voluto sfruttando le ambiguità interpretative delle norme.
In ogni caso, Di Maio non specifica a quale dei due sensi di evasione fiscale faccia riferimento, ma la sostanza non cambia: la natura illegale dell’evasione fiscale fa sì che sia un fenomeno complicato da misurare.
La difficoltà principale è naturalmente che chi evade ha forti incentivi a non farsi scoprire, costringendo chi controlla a utilizzare metodi diretti e indiretti per stimare effettivamente quante tasse lo Stato non riesca a incassare.
Da 100 miliardi di euro...
C’è una stima ufficiale, governativa, sull’entità dell’evasione in Italia. La cifra a cui arriva è molto differente da quella citata da Di Maio.
Infatti, ogni anno una commissione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) – composta da 15 esperti in materie economiche, statistiche e fiscali – pubblica la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. La relazione, con calcoli complessi, produce una stima ufficiale dell’ammontare delle entrate sottratte al bilancio pubblico.
Secondo l’aggiornamento all’ultimo rapporto, pubblicato il 27 novembre 2018, nel 2016 (ultimo anno per il quale i conti nazionali dell’Istat sono aggiornati) l’evasione fiscale e contributiva è stata quantificata in 107.522 milioni di euro (ossia poco più di 107,5 miliardi di euro), in aumento dello 0,7 per cento rispetto al 2015.
Questa stima riguarda l’87,5 per cento del gettito tributario soggetto a evasione e comprende una lunga serie di imposte, tra cui l’Irpef, l’Ires e l’Iva.
Oltre 96 miliardi di euro rappresentano il gap delle entrate tributarie, mentre poco più di 11 miliardi di euro quello delle entrate contributive. Ricordiamo che quest’ultime sono diverse dalle prime, perché riguardano, per esempio, i contributi previdenziali*.
Il rapporto ha elaborato anche un indicatore che calcola quanto i contribuenti non pagano rispetto a quanto avrebbero dovuto pagare: è la propensione all’inadempimento dei contribuenti, o propensione al gap, ossia il rapporto tra tax gap e il gettito teorico.
Questo indicatore varia a seconda delle imposte, e la media tra il 2014 e il 2016 ha raggiunto un valore del 21,6 per cento. Semplificando: ogni 100 euro di entrate attese, lo Stato ne ha incassate meno di 80.
Inoltre, a differenza di quanto avviene per alcune metodologie di calcolo del Pil, questa stima non prende in considerazione le attività illegali. La commissione ritiene infatti che all’evasione connessa a questo tipo di attività non corrisponda un tax gap effettivo. Come spiega il rapporto, "è ragionevole presumere che il contrasto dell’attività illegale faccia sparire per la più parte, e non emergere, l’attività stessa".
Ricapitolando: il Mef – prendendo in considerazione poco meno del 90 per cento delle tasse soggette a evasione – ha calcolato un’evasione fiscale e contributiva nel nostro Paese per un valore di circa 107 miliardi euro.
...a 300 miliardi di euro
Ma da dove viene allora il numero presentato da Di Maio, tre volte più alto di quello appena analizzato? Il ministro non cita la sua fonte, ma il dato coincide con quello pubblicato nel 2008 da un rapporto pubblicato dall’Associazione Contribuenti Italiani – un’associazione di consumatori oggi ancora attiva che offre servizi gratuiti in ambito fiscale – ripreso all’epoca da quotidiani come Il Corriere della Sera.
Oltre dieci anni fa, la ricerca aveva preso in considerazione cinque aree di analisi: l’economia sommersa; l’economia criminale; l’evasione delle società di capitali; l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.
Ai 115 miliardi di euro di evasione di imposte indirette, secondo l’associazione, andavano quindi aggiunti 105 miliardi di euro sottratti dall’economia sommersa, 40 miliardi di euro dalla criminalità organizzata e 25 miliardi da chi ha un secondo o terzo lavoro.
Vengono dunque messe insieme cifre di natura diversa.
Come abbiamo visto però – senza entrare nel merito delle cifre – questa scelta appare dubbia, proprio da un punto di vista della gestione della finanza pubblica.
Chi conduce attività illegali o criminali, per natura evade le imposte ed "è complesso ipotizzare che quell’evasione sia ex post interamente recuperabile", sottolinea l’ultimo rapporto del Mef sull’evasione fiscale.
Un calcolo simile all’Associazione Contribuenti Italiani è stato fatto anche da Eurispes (un istituto di ricerca di studi politici, economici e sociali), che nel 28° Rapporto Italia del 2016 ha stimato l’evasione fiscale proprio sul sommerso.
"Ai circa 540 mld di sommerso da noi indicati – scrive Eurispes – corrisponderebbe, considerando una tassazione di circa il 50%, la somma di 270 mld di evasione". Una cifra vicina a quella citata da Di Maio, ma su cui ci sono parecchi dubbi.
Secondo i dati Istat, infatti, nel 2016 l’economia sommersa in Italia valeva circa 210 miliardi di euro, meno della metà di quanto stimato da Eurispes, che, tra le altre cose, nel suo calcolo ha applicato solo una sorta di “tassa piatta” per ottenere i circa 300 miliardi di euro di evasione fiscale.
Una doppia curiosità
La stima dei "300 miliardi di euro" è di recente comparsa anche in altre due occasioni, ma in ambiti diversi.
Da un lato, è contenuta in un altro rapporto del 2018 di Eurispes, che però fa riferimento al flusso di denaro generato dall’economia sommersa, e non al valore dell’evasione fiscale.
Dall’altro, i "300 miliardi di euro" equivarrebbero al costo della corruzione in Italia negli ultimi 20 anni, come sostenuto a dicembre 2018 da un post del Movimento 5 stelle sulla sua pagina ufficiale Facebook.
Conclusione
In conclusione: secondo Di Maio, "l’Italia ha 300 miliardi di euro di evasione fiscale" ma, in base alle elaborazioni della commissione del Mef che si occupa proprio di questa materia, il dato sembra essere sovrastimato di circa tre volte.
Secondo l’ultimo aggiornamento alla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, nel 2016 in Italia sono state evase le tasse per un valore di oltre 96 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti più di 11 miliardi di euro di contributi non regolarmente versati.
Quest’ultima resta una stima prudenziale, mentre quella citata da Di Maio potrebbe far riferimento ad altre stime, da fonti meno affidabili, che prendono in considerazione anche le attività illegali e l’economia sommersa – una metodologia non condivisa dagli esperti del Mef.
*Come spiega la Treccani, "il contributo si differenzia dalla tassa, poiché per quest’ultima si ha l’effettiva e spontanea domanda dell’utente di godere di un servizio (per es., tassa scolastica), mentre nel contributo si ha un’esazione coattiva per un servizio reso nell’interesse collettivo senza che l’utente ne abbia fatta esplicita richiesta".
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it.