Dopo la pubblicazione, da parte dell’Istat, dei dati più recenti sull’occupazione (relativi a novembre 2017) molti esponenti del Partito democratico, a partire dal segretario ed ex premier Matteo Renzi, hanno rilasciato numerose dichiarazioni per sottolineare la positività degli ultimi numeri sul mercato del lavoro.
Tra chi ha parlato dei dati Istat c’è stato anche Giuliano Poletti, titolare del Ministero del Lavoro, che è intervenuto il 10 gennaio a Radio Anch’io (dal minuto 44 in poi), trasmissione di Rai Radio 1.
Il ministro ha affrontato numerosi argomenti e, in particolare, ha citato i dati sulla disoccupazione, con specifici riferimenti a quella giovanile, sui nuovi contratti a tempo indeterminato e sui posti di lavoro, sulla cassa integrazione e su come invece i posti di lavoro fossero calati negli anni precedenti ai governi Renzi e Gentiloni.
Disoccupazione e disoccupazione giovanile
Poletti, in riferimento all’ultimo anno, ha detto che “la disoccupazione giovanile è diminuita oltre il 7 per cento, la disoccupazione in genere è calata dell’1 per cento”.
Si considera disoccupato non il totale della popolazione che non lavora pur essendo nell’età per farlo (la cosiddetta popolazione inattiva), ma quella percentuale di popolazione che cerca lavoro e non riesce a trovarlo. I giovani, nelle statistiche sul mercato del lavoro, sono considerati quelli tra i 15 e i 24 anni.
Il ministro è partito dal dato sui giovani perché proprio in quel campo l’Italia ha mostrato negli ultimi anni una delle peggiori performance europee, insieme al dato sull’occupazione. Secondo l’Istat, la disoccupazione giovanile è calata del 7,2 per cento - dal 39,9 al 32,7 per cento - tra novembre 2016 e novembre 2017, come dice il ministro, per un totale di 136 mila giovani disoccupati in meno. Mentre la disoccupazione in generale, cioè quella che include tutte le classi di età, è scesa dell’1 per cento circa - dall’11,9 all’11 per cento - equivalente a 243 mila disoccupati in meno.
Nello stesso periodo, il tasso di occupazione generale è cresciuto dello 0,9 per cento, pari a 345 mila occupati in più, mentre quello giovanile dell’1,4 per cento, con 76 mila occupati in più.
I dati sono positivi anche se si guarda alla situazione della fascia d’età successiva, tra i 25 e i 34 anni: il tasso di occupazione è cresciuto dell’1,2 per cento e quello di disoccupazione è calato dell’1,7 per cento.
Un milione di posti di lavoro. Di chi è il merito?
Sono ormai alcuni mesi che diversi esponenti del centrosinistra parlano del fatto che gli occupati siano cresciuti di un milione rispetto a quattro anni fa, quando nel febbraio 2014 si insediò il governo Renzi. Ci eravamo già occupati in altri fact-checking di questo argomento, relativamente a dichiarazioni dello stesso Matteo Renzi, del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e anche del premier Paolo Gentiloni.
“Negli ultimi quattro anni, anche a seguito degli incentivi che abbiamo messo per promuovere l’occupazione stabile abbiamo avuto più di un milione di posti di lavoro in più e più di 500mila sono a tempo indeterminato”, ha detto Poletti a Radio Anch’io.
Sui motivi che hanno contribuito alla crescita del numero di occupati non si può in realtà avere certezze: il governo sostiene che sia merito delle sue politiche sul lavoro, le opposizioni che sia solo legato alla congiuntura economica positiva a livello europeo. Del resto, lo stesso Poletti usa la frase “anche a seguito degli incentivi”, ammettendo dunque che possa essere solo uno dei fattori concorrenti. Si può però analizzare se abbia riportato dati corretti relativamente ai posti di lavoro a tempo indeterminato.
L’Istat conferma che in valori assoluti gli occupati sono aumentati di più di un milione negli ultimi quattro anni: se nel febbraio 2014 gli occupati erano 22 milioni e 153 mila, a novembre 2017 sono diventati 23 milioni e 183 mila. Sono quindi un milione e 30mila i nuovi occupati rispetto a quattro anni fa.
Poletti in realtà non è preciso, perché parla di un milione di posti di lavoro in più, mentre le serie statistiche dell’Istat si riferiscono agli occupati, cioè coloro che “hanno svolto almeno un’ora di lavoro” o “sono assenti dal lavoro […] se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione”. Insomma, un posto di lavoro non equivale a un occupato. Ma è pur vero che le serie storiche Istat si sono sempre basate sugli occupati e che quindi il termine di paragone rimane valido.
Ma quanti sono a tempo indeterminato?
Più controversa è la seconda parte della dichiarazione, quella sui lavoratori a tempo indeterminato. Molti rappresentanti delle opposizioni criticano il governo dicendo che l’aumento dell’occupazione sarebbe soprattutto tra i contratti a termine.
Vediamo di capire meglio i numeri dietro alla dichiarazione di Poletti.
Se guardiamo esclusivamente all’ultimo anno, l’Istat dice che gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti di sole 48 mila unità, mentre quelli a termine di ben 450 mila unità.
È vero però che gli occupati dipendenti permanenti (cioè con contratto indeterminato) erano 14 milioni e 968 mila a novembre 2017, mentre erano 14 milioni 428mila a febbraio 2014, con una variazione complessiva di 540 mila unità. Nonostante, nell’ultimo periodo, la crescita degli occupati a tempo indeterminato sia stata molto scarsa, nell’arco di quattro anni l’aumento è stato quello segnalato da Poletti.
Ma è importante capire quanti siano davvero “nuovi” posti di lavoro e quanti invece trasformazioni da altre forme contrattuali. Si potrebbe infatti immaginare un mercato del lavoro che non crea neppure un nuovo posto, ma che ne trasforma tantissimi da determinato a indeterminato e viceversa.
Grazie ai dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, che però si riferiscono solo al settore privato, si può fare un rapporto tra assunzioni a tempo indeterminato e totale dei nuovi posti di lavoro.
È così possibile notare come nel 2014 i nuovi contratti a tempo indeterminato siano stati il 23,4% del totale, nel 2015 il 32,3% del totale, nel 2016 il 21,8% del totale e nei primi dieci mesi del 2017 il 17,3% del totale. Anche se sono dati, ribadiamo, riferiti al solo settore privato, possono rivelarsi un buon metro di paragone per le parole di Poletti.
Meglio di prima?
Il ministro, per rimarcare la bontà del lavoro svolto, ha anche detto che “dobbiamo sempre ricordarci che nel 2012-2013 abbiamo perso un milione di posti di lavoro e che oggi ne abbiamo recuperato un milione”.
Nel gennaio 2012, quando era in carica da poco il governo Monti, gli occupati erano 22 milioni e 580mila, mentre nel dicembre 2013 erano 22 milioni e 177mila, per una differenza di 403mila occupati in meno. Il ministro Poletti esagera la perdita dei posti di lavoro nel biennio 2012-2013.
Ma è vero invece che un milione di posti di lavoro sia stato perso nel totale della precedente legislatura, tra il 2008 e il 2013, coincisa con la crisi economica globale.
La cassa integrazione
Altro punto toccato dal ministro è la cassa integrazione. “È anche importante ricordare che la cassa integrazione guadagni si è ridotta a meno della metà di quella che era quattro anni fa”, ha detto Poletti, “e statisticamente quelli erano occupati anche prima, però stavano a casa e non lavoravano, quindi i numeri bisognerebbe guardarli sempre tutti”.
Già a novembre 2017 ci eravamo occupati in un’altra analisi di questo argomento, per una dichiarazione simile fatta da Graziano Delrio, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti.
In questo caso possiamo riferirci alle serie dell’Inps, attualmente aggiornate al novembre 2017. Le ore autorizzate di cassa integrazione guadagni ordinaria nel 2013 (escludendo dicembre, il cui dato non è ancora presente per il 2017) erano state circa un miliardo e 15 milioni, mentre nel 2017 sono state circa 331 milioni.
Inoltre, come riporta l’ultimo report Istat sul mercato del lavoro nella sua definizione di “occupati”, è vero che i lavoratori in cassa integrazione entrano nelle statistiche come sostiene Poletti. È quindi corretto dire che “statisticamente erano occupati anche prima, però stavano a casa e non lavoravano”, anche se la cassa integrazione può prevedere comunque un monte di ore lavorate e un monte di ore coperte dalla cassa integrazione.
Il dato riportato da Poletti è insomma persino generoso, perché invece di dire che la cassa integrazione “si è ridotta a meno della metà” avrebbe potuto dire che si è ridotta a un terzo.
Conclusioni
Il ministro Poletti ha riportato numerosi dati precisi riguardo alla disoccupazione, all’occupazione e alla cassa integrazione.
Non è stato invece molto preciso quando ha detto che “nel 2012-2013 abbiamo perso un milione di posti di lavoro”. Si è rivelato impreciso anche quando ha detto che i nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato sono più di mezzo milione, mentre piuttosto a essere cresciuti in quella quantità sono gli occupati con quel tipo di contratto.