Sul palco della kermesse pentastellata di Rimini “Italia 5 Stelle”, il candidato ufficiale del Movimento per le prossime elezioni, Luigi Di Maio, è stato intervistato lo scorso 24 settembre dal giornalista Gianluigi Paragone, che gli ha sottoposto le domande dei simpatizzanti giunte via social media.
Abbiamo verificato nel nostro fact-checking le sue affermazioni più significative.
Il costo dell’immigrazione
Di Maio, rispondendo a una domanda sul tema dell’immigrazione, ha dichiarato (min. 5.05) che “solo quest’anno spenderemo 4,5 miliardi di euro per l’accoglienza, sull’immigrazione, e l’Unione europea ci metterà solamente 100 milioni”.
Si tratta di un’affermazione abbastanza imprecisa.
Quanto spende l’Italia
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in un report inviato alla Commissione europea del febbraio 2017 in cui illustrava i fattori rilevanti che influenzano lo sviluppo del debito pubblico italiano, spiega bene il quadro della situazione.
Nel 2016, al netto dei trasferimenti ricevuti dall’Unione europea, l’Italia ha previsto spese per 3,3 miliardi di euro. Per il 2017 le previsioni erano di “3,8 miliardi (0,22% del Pil) in uno scenario stabile. Se il flusso in entrata dovesse continuare a crescere – scriveva allora il Mef – come la tendenza sperimentata negli ultimi mesi suggerisce, le spese potrebbero salire a 4,2 miliardi di euro”.
Dunque, quella di 4,5 miliardi è una cifra inesatta, in quando sarebbero al massimo 4,2. Ma soprattutto anche la cifra di 4,2 miliardi era una previsione pessimistica che affondava le radici in una dinamica – quella del costante aumento del flusso – che negli ultimi mesi è stata invertita.
La spesa, insomma, per lo Stato italiano sarà probabilmente inferiore a quanto pronosticato a febbraio 2017 dal Mef.
Quanto contribuisce l’Ue
L’Unione europea contribuisce parzialmente alle spese sostenute dall’Italia in particolare con due strumenti: il Fondo per Asilo, Immigrazione e Integrazione (Amif) e il Fondo per la sicurezza interna (Isf).
In base all’ultima comunicazione della Commissione europea, nel giugno 2017 all’Italia venivano conferiti 58,21 milioni di euro dall’Amif, portando il totale del “finanziamento d’emergenza” per il Paese a 147,63 milioni.
Inoltre, come si legge nella nota della Commissione, “queste misure vanno a sommarsi ai 592,64 milioni di euro già dati all’Italia tramite i programmi nazionali per l’Amif (347,75 milioni) e il Fondo sicurezza interna (244,89 milioni)”.
Come già chiarito nel 2016 dal commissario europeo agli affari interni, Dimitri Avramopoulos, questi 600 milioni circa sono finanziamenti strutturali, e non emergenziali, e vanno spalmati sull’intero periodo 2014-2020.
Dunque, nel complesso, l’affermazione di Di Maio sui “100 milioni” della Ue è errata ma non eccessivamente distante dalla realtà. A un finanziamento ordinario di circa 100 milioni all’anno sono stati aggiunti finora, in via emergenziale, altri 150 milioni di euro.
Il regolamento di Dublino
Sempre sul tema immigrazione, Di Maio ha poi affermato (min. 5.50): “Anche l’Italia ha un muro, al confine settentrionale, che si chiama regolamento di Dublino, che non ci permette di redistribuire per quote in altri Paesi questi migranti che arrivano nei nostri porti”.
Il regolamento di Dublino è un trattato internazionale vincolante per gli Stati Ue (tranne la Danimarca), e per altri Stati europei che hanno aderito volontariamente. Prevede una serie di criteri per individuare quale Stato si deve far carico di esaminare la richiesta di asilo presentata da un migrante.
Il criterio “di base” – se non ci sono familiari in altri Paesi, se non si è titolari di un permesso di soggiorno rilasciato da altri Paesi e così via – è che sia responsabile lo Stato di primo approdo dei migranti entrati irregolarmente in territorio UE.
Dunque sarebbe compito dell’Italia, in base al regolamento di Dublino, verificare il diritto d’asilo delle centinaia di migliaia di persone che sono sbarcate sulle sue coste negli ultimi anni e che hanno fatto adeguata richiesta.
Ma questa regola è già stata violata.
La Decisione del Consiglio 2015/1523 ha istituito un meccanismo d’emergenza di ricollocazione dei richiedenti asilo. In base ad esso, tutti gli Stati dell’Unione europea sono stati chiamati ad accogliere una quota delle migliaia di migranti, sbarcati in Italia e in Grecia, che hanno fatto richiesta di asilo.
È previsto che il meccanismo abbia una durata di due anni, e quindi ha teoricamente interrotto il suo effetto a settembre 2017. Tuttavia la Commissione ha chiarito che, non essendo stati completati i ricollocamenti, gli Stati membri sono ancora obbligati.
Vediamo che esito ha avuto questa iniziativa.
L’obiettivo era ricollocare 160 mila richiedenti asilo, ma gli Stati hanno dato disponibilità per 47.905 migranti. Ne sono stati effettivamente ricollocati, al 22 settembre 2017, 29.144. Di questi 9.078 dall’Italia e 20.066 dalla Grecia.
Dunque Di Maio forza le cose, quando dice che il regolamento di Dublino ci impedisce di redistribuire per quote i migranti che arrivano in Italia. Anche se in via emergenziale e temporanea, e in misura comunque ridotta, lo si sta già facendo.
Le energie rinnovabili
Parlando di occupazione e posti di lavoro, Di Maio ha sostenuto (min. 12.35): “Ogni miliardo che mettiamo sui carbonfossile e non nelle energie rinnovabili ci fa perdere 16.500 posti di lavoro. Cioè noi per ogni miliardo di euro dei vostri soldi messo sulle rinnovabili potremmo creare 16.500 posti di lavoro in più”.
Non è chiarissimo da dove il candidato pentastellato prenda questi numeri. La fonte più probabile è uno studio del UKERC (Uk Energy Research Center, un importante centro studi sulle energie rinnovabili britannico) del 2014.
Con l’analisi di numerose pubblicazioni scientifiche in materia, lo studio provava a rispondere proprio a questa domanda: “Quali sono le prove che politiche di supporto alle energie rinnovabili ed efficienza energetica portano alla creazione di posti di lavoro”.
Nello studio – qui scaricabile – si dice (pagina 37) che “considerata la scarsità di dati, i risultati vanno presi con cautela”, ma che “non sembra che gas e carbone producano più posti di lavoro delle rinnovabili o dell’efficienza energetica, anzi è possibile il contrario”.
In particolare, “le rinnovabili mostrano una capacità di generare posti di lavoro superiore a quella dei carbonfossili di circa 5-10 posti di lavoro/per milione di sterline investito. La media per i carbonfossili è di 6 posti di lavoro/1 milione £ (carbone 7 posti di lavoro e gas 5), mentre per le rinnovabili è di 16 posti di lavoro/1 milione £”.
Di Maio è di nuovo piuttosto impreciso.
Per ogni miliardo di sterline – che corrispondono a poco meno di 1,14 miliardi di euro – le rinnovabili generebbero circa 16 mila posti di lavoro. Il carbone 7 mila e il gas 5 mila.
Dunque non è vero che mettendo un miliardo di euro sul carbonfossile e non sulle rinnovabili si perdono 16.500 posti di lavoro. Si perdono al massimo 10 mila posti di lavoro circa, e comunque si tratta di stime da prendere con cautela.
I docenti italiani sono i meno pagati d’Europa?
Infine Di Maio ha parlato di scuola, sostenendo tra le altre cose (min. 36.40) che “i docenti italiani […] sono i meno pagati d’Europa”.
Di Maio ha sostanzialmente ragione, se guardiamo ai grandi Paesi europei.
In base ai dati OCSE riferiti al 2015, un insegnante di scuola primaria con 15 anni di esperienza guadagna annualmente in Italia 33.753 dollari. Poco meno dei loro colleghi francesi, che guadagnano 34.956 dollari all’anno.
Dietro di noi, in Europa, troviamo Polonia (25.375), Grecia (25.077), Repubblica Ceca (19.403), Ungheria (19.284), Lituania (18.369), Repubblica Slovacca (17.930) e Lettonia (8.872).
La classifica resta sostanzialmente invariata anche guardando ai docenti delle medie e delle superiori e, se Di Maio ha torto letteralmente, si può però dire che i docenti italiani sono i meno pagati dell’Europa occidentale.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it