La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, lo scorso 13 marzo ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Il governo di Londra userà parte dei fondi destinati al contrasto dell'immigrazione clandestina per costruire carceri in Nigeria. In questo modo gli inglesi risparmieranno 40 mila euro a detenuto, svuoteranno le patrie galere, assicureranno la certezza della pena e rimanderanno a casa i clandestini. Non solo: Londra ha già chiuso accordi per il trasferimento di detenuti anche con Albania, Ruanda, Giamaica e Libia”.
Le parole della Meloni sono un commento a un articolo de il Giornale, che contiene le informazioni riportate. Siamo andati a verificare quale sia la situazione.
Carceri in Nigeria
La BBC conferma la notizia, che si basa su una dichiarazione del ministro degli Esteri Boris Johnson di pochi giorni fa, anche se con alcune differenze. Non si tratta genericamente di “costruire carceri” ma di finanziare un progetto specifico, cioè la costruzione di un’ala aggiuntiva al carcere di Kiri Kiri, a Lagos, con una capienza di 112 posti letto.
Regno Unito e Nigeria hanno siglato alcuni anni fa, il 9 gennaio del 2014, un “accordo per il trasferimento obbligatorio dei detenuti”.
Risparmi e finanziamento
Il progetto per la nuova ala del carcere di Kiri Kiri ha un costo di 695.525 sterline. Il costo medio di un posto in carcere nel Regno Unito nel 2016/17 era di 38.042 sterline, cioè circa 43 mila euro. A regime, il risparmio per le casse britanniche dovrebbe essere (moltiplicando 43 mila per 112) di più di quattro milioni e 800 mila euro all’anno.
Le circa 700 mila sterline per il progetto provengono, a differenza di quanto riporta la Meloni, dal “Conflict, Stability and Security Fund”, un fondo che ha il fine di fornire assistenza e supporto a Paesi che siano a rischio di conflitto o instabilità, e dove possano essere pregiudicati gli interessi britannici.
Il fondo che invece si occupa propriamente di contrastare l’immigrazione clandestina è il “Controlling Migration Fund”, istituito nel novembre 2016 in sostituzione del precedente “Migration Impacts Fund”.
“Svuotare” le patrie galere
Nella nuova ala dovrebbero essere ospitati detenuti nigeriani attualmente presenti nel Regno Unito. Il totale dei detenuti nigeriani nelle prigioni britanniche, riporta BBC, è di 320, dunque il nuovo progetto ne ridurrebbe la presenza di oltre un terzo.
La percentuale dei detenuti stranieri nelle carceri di Inghilterra e Galles è del 14% del totale che – secondo l’ultimo bollettino statistico, di febbraio 2018, qui scaricabile – ammonta a circa 84 mila detenuti. Dunque gli stranieri sono più di 11.700.
L’impatto del progetto in questione è dunque di circa l’1% del totale della popolazione carceraria straniera. Parlare di “svuotamento delle patrie galere” è senz’altro eccessivo.
Detenuti clandestini
Non è corretto infine collegare questo progetto del governo inglese agli “immigrati clandestini”. L’accordo tra Nigeria e Regno Unito si applica ai cittadini dei due Paesi incarcerati gli uni nelle prigioni dell’altro, indipendentemente dal loro essere migranti regolari o irregolari.
È cioè possibile che venga rimpatriato in Nigeria un cittadino nigeriano regolarmente residente nel Regno Unito, che qui ha commesso un crimine ed è stato incarcerato.
Gli altri accordi
Per quanto riguarda i Paesi extra-Ue con cui il Regno Unito ha accordi di trasferimento obbligatorio di detenuti, possiamo guardare l’elenco che ha fornito il sottosegretario alla Giustizia Philip Lee nel corso di un’interrogazione del dicembre 2016 proprio sul tema del funzionamento degli accordi di trasferimento obbligatorio di detenuti con Paesi non della Ue.
Gli Stati interessati sono: Albania, Georgia, Libia, Moldavia, Montenegro, Nigeria, Norvegia, Russia, Ruanda, Serbia, San Marino, Somaliland (Stato non riconosciuto interno alla Somalia), Svizzera e Turchia.
Come precisato dallo stesso Lee, “il Regno Unito non ha accordi di trasferimento prigionieri con la Giamaica”. Il governo inglese – allora presieduto da Cameron – ne aveva dato notizia a fine settembre 2015, ma poche settimane dopo il governo giamaicano aveva smentito. Il ministro della Sicurezza del Paese caraibico aveva infatti dichiarato in Parlamento a ottobre 2015 che “le affermazioni del governo britannico potrebbero far pensare all’opinione pubblica che abbiamo firmato un accordo per il trasferimento dei prigionieri: non è questo il caso. Abbiamo avviato un processo che potrebbe portare, o non portare, a un trasferimento dei detenuti”.
In ogni caso, gli altri Paesi citati da Meloni (Albania, Ruanda e Libia) sono in effetti compresi nella lista.
L’efficacia degli accordi
L’efficacia di quegli accordi, sempre in base a quanto spiegato dal sottosegretario alla Giustizia Lee, è decisamente scarsa.
Sostiene Lee: “Il trasferimento obbligatorio di prigionieri al di fuori dell’Unione europea è più complicato e può essere influenzato da problemi quali le condizioni delle prigioni straniere o la situazione di sicurezza nel Paese”.
I numeri sono infatti molto bassi: a settembre 2016 il totale dei detenuti trasferiti all’estero nella cornice di accordi di trasferimento obbligatorio, da inizio anno, ammontava a 18. Di questi, diciassette sono stati rimandati in Albania e uno in Nigeria.
Molto più efficace è l’Early Removal Scheme, cioè la possibilità di rimpatriare detenuti stranieri in cambio di una sostanziosa riduzione della pena (fino a 9 mesi). Secondo Lee “nel 2015/16, 2.071 criminali stranieri sono stati rimossi grazie a questo programma”. La misura causa, già da anni, numerose polemiche da parte delle vittime, che vorrebbero vedere i criminali scontare per intero la loro pena.
Conclusione
Giorgia Meloni dichiara alcune informazioni precise (gli oltre 40 mila euro risparmiati ogni anno per detenuto rimpatriato, o gli accordi conclusi con Albania, Libia eccetera) con altre imprecise (il Regno Unito non prevede di costruire “carceri” ma l’ala di un singolo carcere) o sbagliate (come la possibilità di “svuotare” le patrie galere o il nesso coi clandestini).
Le misure, infine, sembrano aver avuto effetti piuttosto limitati. La misura efficace adottata dai britannici è un’altra, ma potrebbe essere politicamente più indigesta, in quanto comporta la liberazione anticipata dei criminali che tornano in libertà, seppur nei rispettivi Paesi d’origine.
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