Dal primo luglio, è aperta la campagna trasferimenti estiva della Serie A, che ha già visto importanti colpi di calciomercato messi a segno da alcune squadre italiane. La Juventus, per esempio, ha acquistato dall’Ajax il difensore olandese Matthijs De Ligt, per una cifra complessiva che si aggira intorno agli 85 milioni di euro, mentre la Roma si è assicurata dal Real Betis di Siviglia il nuovo portiere spagnolo Pau López, per 23,5 milioni di euro.
Ma è vero, come sostengono alcuni, che il cosiddetto “decreto Crescita” del governo favorisca l’ingaggio di nuovi calciatori, o allenatori, provenienti dall’estero?
Abbiamo verificato.
Che cosa contiene il decreto Crescita
Il 30 aprile, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n. 34, noto con il nome di “decreto Crescita”, che contiene "misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi" e che come abbiamo visto è stato convertito in legge – con alcune modifiche – a fine giugno scorso.
Il Capo 1 del decreto è quello dedicato alle misure fiscali per la crescita, dove l’articolo 5 è intitolato Rientro di cervelli. Come vedremo, curiosamente la disposizione si applica anche - tra gli altri - al rientro dei piedi.
Il comma 1 dell’art. 5 modifica una disposizione (art. 16 del d.l. 147/2015) approvata dal governo Renzi e dedicata al "regime speciale per lavoratori impatriati".
La norma approvata dal governo a guida Pd prevedeva, in sintesi, che venisse tassato – a fini Irpef – solo il 70 per cento del reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia da lavoratori residenti all’estero (da almeno 5 anni) che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato. Per questi lavoratori erano però fissate delle condizioni. Una in particolare (art. 16 co.1 lett.d)) stabiliva che erano inclusi in questa agevolazione solo i lavoratori che ricoprivano "ruoli direttivi" o che erano "in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione".
In sostanza, si trattava di appartenenti alle categorie professionali (come medici o ingegneri), e di professionisti intellettuali e scientifici. I calciatori, dunque, erano esclusi.
Il decreto-legge di aprile 2019, varato dal governo Lega-M5s, ha abbassato dal 70 al 30 per cento la quota di reddito totale percepito da cui si ricava l’Irpef da versare allo Stato (concedendo quindi un vantaggio fiscale ancora maggiore a chi dall’estero si trasferisce in Italia), ha abbassato a due anni il periodo in cui si deve aver avuto la residenza all’estero e soprattutto ha cancellato la condizione appena vista.
Il vantaggio fiscale previsto dal governo Conte vale per almeno cinque anni per il lavoratore si impegna "a risiedere in Italia per almeno due anni".
Inoltre, la norma non impone limiti di reddito, né minimi né massimi, per chi può beneficiare di queste nuove agevolazioni. Pur essendo stata pensata, tra le altre cose, anche per attirare il ritorno nel nostro Paese di docenti e ricercatori espatriati, finisce in realtà con l’applicarsi a tutti i lavoratori.
Come spiega un dossier del Servizio studi della Camera, la durata del regime di favore fiscale – che di norma varrebbe per cinque periodi di imposta, per chi per esempio ha figli minorenni – viene allungata fino a un massimo di 13 anni.
Tirando le somme si può dire che il governo Conte abbia preso una norma pensata per favorire il rientro dei “cervelli” e l’abbia estesa genericamente a tutti i lavoratori, qualificati o no, tra cui anche i calciatori.
Gli effetti sullo sport
Lo stesso dossier precisa alcuni aspetti del decreto legati proprio alla categoria degli sportivi professionisti, riducendo per loro i vantaggi previsti invece per tutti.
Con le modifiche apportate alla Camera al testo del decreto, è stata infatti introdotta una deroga per i redditi degli sportivi professionisti rimpatriati: per loro la detassazione è al 50 per cento, e non del 70 per cento.
Inoltre, a questa categoria non si applica la maggiore agevolazione spettante ai lavoratori che si trasferiscono nel Mezzogiorno (abbassamento del 90 per cento), né la maggiorazione prevista in caso di più figli a carico.
Infine – prosegue il dossier – "l’applicazione del regime agevolato degli sportivi professionisti viene subordinata al versamento di un contributo pari allo 0,5 per cento dell’imponibile".
Questi benefici fiscali valgono per il periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2019, ma come ha spiegato l’esperto di calcio e finanza del Sole 24 Ore Marco Bellinazzo sono validi anche per i contratti siglati dal 1° luglio 2019 (ossia dal primo giorno di calciomercato).
Ma quali sono gli effetti concreti del “decreto Crescita” sul mercato dei calciatori professionistici? Vediamo un esempio.
L’esempio di De Ligt
Come ha spiegato un approfondimento sul tema del sito sportivo Ultimo Uomo, le società di calcio "in sede di contrattazione offrono sempre ai giocatori uno stipendio netto accollandosi interamente la tassazione, rappresentata quasi integralmente proprio dall’aliquota sull’imponibile Irpef" (considerando anche l’addizionale, che cambia da regione a regione).
Per un calciatore il cui reddito è superiore ai 75 mila euro lordi l’anno, l’Irpef rientra nello scaglione maggiore, ossia quello del 43 percento.
A questi costi a carico della società vanno aggiunti, tra le altre cose, i contributi previdenziali e le tutele assicurative.
In base a un’analisi effettuata da Calcio e Finanza del Sole 24 Ore, un calciatore riceve al netto in busta paga circa il 55 per cento del lordo.
Secondo indiscrezioni stampa – i contratti dei calciatori non sono consultabili pubblicamente – il nuovo difensore della Juventus Matthijs De Ligt percepirà uno stipendio di 7,5 milioni di euro netti l’anno, per cinque anni.
Con le regole precedenti al “decreto Crescita”, De Ligt sarebbe costato – secondo un calcolo approssimativo – alla società oltre 13,6 milioni di euro l’anno. Con quelle successive, sempre secondo una stima spannometrica, costerebbe invece circa 10 milioni di euro l’anno.
Conclusione
Dal primo luglio è iniziata la sessione di calciomercato estiva che durerà fino al 2 settembre.
Leggi e numeri alla mano, è vero che le società di calcio (e quelle sportive professionistiche in generale) avranno benefici fiscali nell’assunzione di calciatori provenienti da un’esperienza almeno biennale di residenza all’estero, proprio grazie al cosiddetto “decreto Crescita” approvato dal governo Lega-M5s.
Questo vantaggio si riflette dunque sulle società, che possono proporre contratti al netto più ricchi, allo stesso costo lordo di quelli che offrivano prima della nuova norma.