Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti (M5s), intervistato il 30 settembre dal programma radiofonico Un giorno da pecora su Rai Radio 1, ha dichiarato (min. 01:17:05) – a proposito della questione del crocifisso in aula – che "è una questione divisiva che può attendere". Sollecitato dall’intervistatore a dire cosa farebbe se potesse decidere solo lui, Fioramonti ha poi aggiunto che gli piacerebbe vedere nelle aule "una mappa geografica del mondo, un richiamo alla Costituzione e agli obiettivi dello sviluppo sostenibile". Queste parole hanno scatenato aspre critiche da parte dell’opposizione e della Chiesa.
Ma qual è la situazione in Italia e nel resto d’Europa per quanto riguarda l’esposizione del crocifisso negli edifici pubblici? Come vedremo, il nostro Paese si trova in una posizione pressoché unica.
La storia del crocifisso nelle aule scolastiche
In Italia il tema del crocifisso in aula è stato ampiamente discusso nel decennio scorso. La sentenza Lautsi vs Italia del 2011 della Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) – che fa da “appello” rispetto alle decisioni delle sezioni ordinarie della Cedu –, oltre a stabilire che sia lecita l’esposizione del simbolo religioso cristiano, ricostruisce l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sulla questione nel corso della Storia e ci aiuta a fare chiarezza.
L’obbligo di appendere un crocifisso nelle aule scolastiche delle scuole primarie ha fondamento in una legge di più di centocinquant’anni. Era infatti previsto da un regio decreto del Regno di Piemonte-Sardegna (regio decreto n° 4336 del 15 settembre 1860, art. 140).
Dopo la presa di Roma nel 1870 e la crisi tra Regno d’Italia e Stato Pontificio, l’abitudine di esporre il crocifisso andò scomparendo tanto che, con l’avvento del fascismo, tra il 1922 e il 1928, vennero emanati diversi regi decreti e circolari ministeriali per assicurare che invece il crocifisso – così come il ritratto del Re – fossero esposti nelle classi.
Dopo la caduta del fascismo e della monarchia, la questione fu affrontata da diverse sentenze delle corti dell’Italia repubblicana.
In particolare il Consiglio di Stato, ultimo grado della giustizia amministrativa, in due decisioni (del 1988 e del 2006) ha stabilito che i regi decreti degli anni Venti in materia sono da considerarsi ancora in vigore e che, in generale, la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche era compatibile con il principio di laicità.
Una sentenza della Cassazione del 2000 (n. 439), tuttavia, ha giudicato la presenza del crocifisso come una offesa ai principi di laicità e di imparzialità dello Stato, nonché al principio di libertà di coscienza di coloro che non si riconoscono in questo simbolo, e ha rigettato la tesi esposta dal Consiglio di Stato nel parere del 1988.
A livello normativo, l’ultimo intervento è una direttiva del Miur del 2002 (n. 2667), in base alla quale deve essere "assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche".
Nel 2011, in ogni caso, è intervenuta la sentenza della Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo Lautsi vs Italia che, come anticipato, ha stabilito definitivamente – ribaltando una decisione della stessa Corte del 2009 – che l’esposizione del crocifisso non violi le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Dunque ad oggi, in sintesi, la legge italiana prevede che il crocifisso sia esposto nelle aule scolastiche e questa normativa è considerata legittima.
Ma qual è la situazione nel resto d’Europa?
La situazione nel resto d’Europa
La stessa sentenza della Cedu del 2011 Lautsi vs Italia ci permette di tratteggiare un quadro preciso della situazione.
Qui infatti è dedicato un intero paragrafo alla "sintesi del diritto e delle prassi negli Stati membri del Consiglio d’Europa riguardo la presenza di simboli religiosi nelle scuole pubbliche".
Le norme
In generale, rileva la Corte, "nella maggior parte degli Stati membri del Consiglio d'Europa, la questione della presenza di simboli religiosi nelle scuole pubbliche non è oggetto di una specifica disciplina".
Tale presenza è espressamente vietata solo in Francia, in particolare dalla legge del 9 dicembre 1905 (art. 28), in Macedonia e in Georgia.
È invece espressamente prevista, oltre che in Italia, solo in Polonia, in Austria (in base a una legge del 1949, art. 2 b, se almeno la metà degli studenti della classe sono cristiani), in alcuni Länder della Germania e in alcuni comuni svizzeri. Riguardo a questi Stati tuttavia, come vedremo tra poco, la situazione è comunque diversa dall’Italia, come hanno chiarito diverse sentenze delle rispettive corti nazionali.
In ogni caso, scrivono i giudici della Cedu, "è possibile trovare tali simboli nelle scuole pubbliche di alcuni degli Stati membri in cui la questione non è stata specificamente regolamentata quali la Spagna, la Grecia, l’Irlanda, Malta, San Marino e la Romania".
Le sentenze
Anche le corti straniere poi, al pari di quelle italiane, sono state investite della questione in passato.
In Germania, ad esempio, la Corte costituzionale federale nel 1995 ha ritenuto incostituzionale un’ordinanza bavarese che prevedeva la presenza del crocifisso in aula. L’ordinanza era stata riconosciuta contraria al principio di neutralità dello Stato e difficilmente compatibile con la libertà di religione dei ragazzi che non si riconoscono nella religione cattolica.
La soluzione trovata dal Land bavarese, ricostruisce la Cedu, è allora stata quella di lasciare i crocifissi in aula ma di dare ai genitori degli studenti la possibilità di invocare le loro convinzioni religiose o laiche per contestarne la presenza, mettendo in atto un meccanismo destinato a trovare un compromesso o una soluzione “personalizzata”.
Dunque se è vero, come abbiamo visto, che in alcuni Länder della Germania è prevista l’esposizione del crocifisso, è anche possibile chiederne la rimozione e trovare una soluzione di compromesso.
In Polonia, la Corte Costituzionale ha stabilito nel 1993 che un’ordinanza del ministro dell’Educazione del 1992 – che prevedeva la possibilità di esporre crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche – fosse compatibile con la libertà di coscienza e di religione e con il principio della separazione tra Stato e Chiesa garantiti dalla Costituzione polacca, dal momento che questa esposizione non era obbligatoria.
Anche la Polonia è quindi in una situazione diversa dall’Italia, in quanto l’esposizione è facoltativa e non esplicitamente imposta dalle norme e dai regolamenti.
In Svizzera, il Tribunale federale ha giudicato incompatibile con le esigenze della neutralità confessionale sancite dalla Costituzione federale una ordinanza comunale che prevedeva la presenza di un crocifisso nelle aule delle scuole primarie, senza comunque condannare questa presenza in altri ambienti degli istituti scolastici.
In Spagna infine, decidendo sul ricorso di un’associazione laica che aveva inutilmente richiesto la rimozione dei simboli religiosi dagli istituti scolastici, nel 2009 il tribunale superiore di giustizia di Castiglia e Leon aveva giudicato che tali istituti avrebbero dovuto procedere alla rimozione in caso di esplicita richiesta dei genitori di un alunno. Una situazione, dunque, ancora diversa da quella italiana.
Conclusione
L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a prevedere che, a norma di legge, il crocifisso sia esposto nelle scuole. In altri Stati questo accade, ma non è una questione disciplinata dalla normativa.
Oltra al nostro Paese hanno norme in materia anche Austria, Polonia, alcuni Länder della Germania e alcuni comuni svizzeri.
Tuttavia in Austria è richiesto che almeno la metà degli studenti sia cristiano perché il simbolo religioso venga esposto; in Germania è possibile chiederne la rimozione; in Polonia l’esposizione non è obbligatoria; e in Svizzera sono considerate illegittime le eventuali norme che impongono di esporre il crocifisso.
L’Italia, insomma, sembra avere una posizione unica in Europa per quanto riguarda la presenza del crocifisso nelle scuole.
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