Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, ospite il 20 giugno a Porta a Porta, ha detto che “non è possibile che, su 60 mila detenuti in Italia, 20 mila siano stranieri”.
Il vicepresidente del Consiglio ha anche aggiunto che avrebbe poco senso “tenerli qua, pagandoli 300 euro al giorno”, e ha confermato che il governo si impegnerà per far loro scontare la pena nei Paesi di provenienza.
Siamo andati a verificare i dati citati da Salvini e che cosa è possibile dire sull’idea di espatriare i detenuti stranieri.
Quanti sono i detenuti stranieri in Italia
Partiamo dalle statistiche sulla popolazione carceraria. Secondo i dati più recenti del Ministero della Giustizia – aggiornati al 31 maggio 2018 – i detenuti presenti negli istituti penitenziari in Italia sono in totale 58.569 (su una capienza regolare di 50.615 posti), distribuiti in 190 strutture.
I detenuti stranieri sono 19.929: il 34 per cento sul totale, quasi un terzo esatto. I cittadini italiani sono 38.640.
Su questi numeri ci sono alcune osservazioni da fare. Innanzitutto, nei confronti degli stranieri si usa in misura maggiore la custodia cautelare, cioè il carcere prima della conclusione del processo. Tra i detenuti in attesa di giudizio, gli stranieri sono il 37,7 per cento (3.640 individui), mentre tra quelli condannati in via definitiva la percentuale scende al 31,6 per cento.
Chi è straniero ha insomma maggiore difficoltà ad accedere a misure alternative al carcere. I dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 2016, evidenziano che su un totale di 5.433 individui soggetti a misure di sicurezza non detentive, solo il 9,5 per cento è composto da stranieri, comunitari e non. Discorso analogo vale per le sanzioni sostitutive e quelle non detentive, in cui le percentuali di stranieri coinvolti è rispettivamente del 14,6 per cento e del 12,6 per cento.
Secondo i dati del Ministero della giustizia – aggiornati al 31 maggio 2018 – le nazionalità presenti nelle carceri italiane sono 140. In percentuale, i primi in classifica sono i cittadini marocchini (il 18,5 per cento dei detenuti stranieri), seguiti dai rumeni (12,9 per cento), gli albanesi (12,7 per cento) e i tunisini (10,8 per cento). Paesi come Nigeria e Senegal raggiungono percentuali più basse, rispettivamente del 6,2 per cento e del 2,4 per cento.
Quanto costa un detenuto allo Stato
I numeri sulla popolazione carceraria riportati da Salvini sono corretti. Ma è vero che lo Stato spende per ognuno di loro 300 euro al giorno?
Nel suo rapporto 2018, l’Associazione Antigone ha calcolato che per l’anno in corso – sul budget preventivo di circa 2,9 miliardi di euro del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – il costo giornaliero per detenuto è previsto essere di 137,02 euro, praticamente stabile rispetto ai 137,34 euro del 2017. Di questo budget, l’80 per cento è comunque destinato alle spese del personale civile e di polizia penitenziaria.
Secondo gli ultimi dati ufficiali del ministero della Giustizia, che sono aggiornati al 2013, lo Stato spende 9,26 euro al giorno per il mantenimento in senso stretto di ogni detenuto: un totale di 277,8 euro mensili.
È possibile che Salvini, nel considerare il costo di un detenuto, volesse fare riferimento al costo mensile di mantenimento (circa 300 euro, appunto) e non a quello giornaliero.
È possibile rimandare i detenuti stranieri nei loro paesi di origine?
Nell’intervista con Bruno Vespa, Salvini indica anche la volontà dell’esecutivo di rimpatriare i cittadini non italiani presenti negli istituti penitenziari, che va ad aggiungersi alla promessa del contratto di governo di aumentare il numero di irregolari espulsi.
In questo caso, il primo problema è di natura giuridica. La questione del trasferimento dei detenuti stranieri è regolamentata dalla Convenzione di Strasburgo del 1983, entrata in vigore in Italia sei anni più tardi 1989. All’articolo 3, la Convenzione – sottoscritta solo da alcuni Paesi – afferma che una persona può essere trasferita solo in specifiche condizioni. Per esempio, la sentenza di condanna deve essere per almeno sei mesi di reclusione e definitiva, e il condannato deve acconsentire al trasferimento.
Inoltre, la legge sull’introduzione del delitto di tortura del 14 luglio 2017 impedisce di estradare una persona quando ci sono motivi fondati di ritenere che essa rischia di essere sottoposta a tortura.
Come sottolineato dal rapporto dell’Associazione Antigone, “almeno 806 detenuti non dovrebbero essere trasferiti nei loro Paesi di origine e hanno diritto a restare in Italia. 217 vengono dalla Libia, 37 dal Sudan e 642 dall’Egitto”.
La seconda difficoltà nei rimpatri riguarda la necessità di trovare accordi con i Paesi di origine. Salvini è consapevole di questo limite, ma – sempre a Porta a Porta – ha dichiarato che “se si aggiungono un po’ di soldini”, Paesi come Albania e Romania sarebbero disponibili a riprendere nelle loro carceri i detenuti presenti in Italia.
Se si guardano i precedenti, un sistema simile potrebbe però non essere efficace. Come abbiamo già verificato in passato, il Regno Unito ha stretto accordi con alcuni Paesi per “svuotare” le proprie carceri, con scarsi risultati.
Per esempio, l’accordo con la Nigeria sottoscritto da Londra nel 2014 ha un impatto stimato di riduzione dell’1 per cento sulla popolazione carceraria straniera nel Regno Unito.
Gli altri accordi britannici con Paesi extra-Ue non hanno dato esiti migliori: da inizio 2016 a settembre 2016, il totale dei detenuti trasferiti all’estero dal Regno Unito, nella cornice di accordi di trasferimento obbligatorio, ammontava a 18 individui. Di questi, diciassette sono stati rimandati in Albania e uno in Nigeria.
Conclusione
Sul numero dei detenuti stranieri in Italia, Salvini cita statistiche corrette: nelle carceri italiane, un terzo della popolazione carceraria è composta da stranieri. Ma per comprendere meglio la questione, è fondamentale fare delle distinzioni, per esempio, tra stranieri residenti e quelli irregolari, e sottolineare il maggiore ricorso alle misure cautelari per chi non è cittadino italiano.
Mentre il costo giornaliero per singolo detenuto è stimato in circa 137 euro – e non 300 euro come sostenuto dal ministro dell’Interno –, la volontà di rimpatriare i detenuti stranieri e di “svuotare le carceri” si scontra almeno con due problemi. Uno giuridico, che potrebbe comportare la revisione di accordi internazionali e leggi nazionali; l’altro di efficacia. Il caso del Regno Unito, ad esempio, che ha preso alcune misure per effettuare rimpatri, non mostra risultati incoraggianti.
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