Il candidato del centrodestra alla Regione Lazio Stefano Parisi, ospite de L’Aria che tira, lo scorso 29 gennaio ha dichiarato (minuto -34.50): “Che cosa è successo in Italia? È successo che negli ultimi vent’anni siamo il Paese in cui la produttività, cioè quanto il lavoro produce, è cresciuta meno di tutti gli altri Paesi europei; il costo del lavoro è il più alto, i lavoratori prendono pochi soldi in tasca e paghiamo molto alto il costo del lavoro per pagare contributi e tasse”.
Le due affermazioni contenute nella dichiarazione sono una corretta e una errata.
La produttività
La produttività, che come spiega Parisi è “quanto il lavoro produce” o meglio l’ammontare di beni e servizi prodotti in un dato periodo, negli ultimi vent’anni ha visto l’Italia fare peggio di chiunque altro in Europa.
Lo certifica Eurostat, il servizio statistico della Commissione europea, in questa tabella. Fatto 100 la produttività del 2010 in ogni singolo Paese, possiamo vedere quanto è cresciuta da allora fino al 2016 (ultimo anno per cui ci sono dati disponibili) e quanto era cresciuta dal 1996 al 2010.
L’Italia nel 1996 era già al 99,9 della produttività (fatta a 100) del 2010. Nel 2016 siamo addirittura scesi al 97,9.
Nessun altro Paese europeo vede il proprio dato riferito al 2016 inferiore a 100, tranne la Grecia (che segna 94,1). Anche il Paese ellenico, tuttavia, nell’arco dei vent’anni ha fatto meglio dell’Italia. Infatti tra il 1996 e il 2010 la produttività greca era cresciuta notevolmente. Fatta a 100 la produttività raggiunta nel 2010, nel 1996 la Grecia era all’82,3.
Siamo dunque ufficialmente il Paese con la peggior prestazione in termini di crescita della produttività. Le altri grandi economie del continente, che dunque come l’Italia e a differenza dei Paesi di recente sviluppo economico partivano da una situazione di produttività già avanzata, fanno comunque tutte meglio di noi.
La Germania era al 90,6 nel 1996 (sempre fatto 100 nel 2010) e nel 2016 è al 104. La Francia era all’87,8 nel 1996 e nel 2016 è al 103,4. La Spagna era al 94,4 nel 1996 e venti anni dopo è al 105,8. Il Regno Unito era all’83,9 nel 1996 e nel 2016 è al 104,1.
Dunque la prima affermazione di Parisi è corretta.
Il costo del lavoro
Sul costo del lavoro invece Parisi si sbaglia, se guardiamo ai valori assoluti. In Italia, sempre secondo Eurostat, nel 2016 il costo medio del lavoro era di 27,8 euro all’ora.
Hanno un costo più alto ben dieci Paesi su 28: Danimarca (42 €/h), Belgio (39,2 €/h), Germania (33 €/h), Irlanda (30,4 €/h), Francia (35,6€/h), Lussemburgo (36,6 €/h), Olanda (33,3 €/h), Austria (32,7 €/h), Finlandia (33,2 €/h) e Svezia (38 €/h).
Anche la media della UE a 28 è superiore, a 29,8 €/h.
La parte “non” di stipendio
Parisi comunque sottolinea che il problema del costo del lavoro non è tanto quanto guadagnano i lavoratori, anzi, ma il peso di “contributi e tasse”.
Ancora su Eurostat possiamo verificare che in Italia la parte “non di stipendio” del costo del lavoro corrisponde percentualmente – in media – al 27,4%. Siamo al di sopra della media della Ue a 28, che è del 26%, ma non siamo i peggiori in Europa.
Hanno una percentuale “non di stipendio” più alta la Francia (33,2%), la Svezia (32,5%), la Lituania (27,8%) e il Belgio (27,5%).
Dunque anche prendendo in considerazione questa ulteriore variabile, la seconda affermazione di Parisi resta scorretta.
Conclusione
Parisi ha ragione sulla crescita della produttività in Italia, che è in effetti stata la peggiore in Europa negli ultimi vent’anni (e anche negli ultimi sei fa peggio di noi soltanto la Grecia).
Il candidato di centrodestra alla regione Lazio sbaglia tuttavia sul costo del lavoro: in Italia non è il più alto in Europa, anzi è al di sotto della media Ue. Anche la parte “non di stipendio” del costo del lavoro in Italia, pur al di sopra della media Ue, non è un record.
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