Il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano, ha dichiarato lo scorso 10 luglio, a margine del Comitato congiunto per la Cooperazione allo Sviluppo: “Abbiamo approvato un pacchetto di progetti, programmi e bandi per quasi 53 milioni di euro, a testimonianza del continuo impegno del Governo nel settore della cooperazione allo sviluppo, pilastro della nostra politica estera in quanto investimento strategico sempre più importante”.
L’Italia e la cooperazione allo sviluppo
Al di là di questo singolo pacchetto di progetti, che dovrebbero riguardare in particolare la partnership con Etiopia nel periodo 2017-19, l’Italia stanzia ogni anno miliardi di euro per la cooperazione internazionale. Sul portale OpenAid Italia, lanciato dal Ministero degli Affari Esteri, è possibile verificare i dati numerici di ogni anno ed effettivamente in quelli recenti si è registrato un aumento.
Dai 2,41 miliardi del 2012 si è passati a 2,98 nel 2013, a 3,28 nel 2014, a 3,95 nel 2015 e nel 2016 – qui attingiamo il dato dall'Official Development Assistance/ Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Oda/Aps), l'indicatore Ocse che misura gli aiuti ai Paesi poveri – a 4,4 miliardi di euro.
Sembrerebbe in effetti che il governo ritenga, come sostiene Alfano, l’investimento strategico “sempre più importante”. Tuttavia se si allarga lo sguardo al quadro complessivo, la situazione è meno incoraggiante.
Il target dello 0,7% del Pil
In base ad un accordo del 2002 del Consiglio Europeo, tutti gli Stati Membri Ue devono destinare lo 0,7% del proprio Pil a fondi per lo sviluppo. L’Italia ad oggi non è mai riuscita a raggiungere questo obiettivo, che in teoria andava raggiunto entro il 2015, fermandosi sempre a percentuali significativamente inferiori.
Matteo Renzi, proprio nel 2015, aveva stigmatizzato questa situazione in occasione del G7, ammettendo di essere in imbarazzo a presentarsi al vertice con la “maglia nera”. L’Italia occupava infatti l’ultima posizione tra i sette Paesi per percentuale del Reddito Nazionale Lordo (cioè il Pil aggiustato per vari flussi di reddito tra Paesi) destinata alla cooperazione. All’epoca, appena lo 0,22% (ma Renzi commentava il dato 2014, dello 0,17%): una crescita costante dallo 0,14% del 2012, ma lontano dal “picco” del 2005 (0,29%) e lontanissimo dal target fissato dal Consiglio Europeo.
Nel 2016 la percentuale è ulteriormente aumentata, arrivando allo 0,26%. Questo toglie l’Italia dall’ultima posizione, che tocca agli Usa (0,18%), e dalla penultima, dove troviamo il Giappone (0,20%), e l’affianca al Canada. Davanti a noi restano la Francia (0,38%), Germania (0,70%) e Uk (0,70%). Berlino e Londra sono dunque gli unici Paesi del G7 ad aver centrato l’obiettivo fissato nel 2002.
Vale comunque la pena notare come, in valore assoluto, gli Usa siano i primi per contributi (33,59 miliardi di dollari), seguiti da Germania (24,67 miliardi di dollari) e Regno Unito (18,01 miliardi di dollari). L’Italia è penultima, con 4,86 miliardi di dollari (i 4,4 miliardi di euro sopra citati), seguita solo dal Canada (3,96 miliardi di dollari).
Conclusione
Non si può negare un aumento, negli anni dei governi di cui Alfano ha fatto parte, della percentuale del Pil che l’Italia ha destinato alla cooperazione internazionale. Questo le ha inoltre permesso di uscire dall’ultima posizione tra le sette nazioni sviluppate con la ricchezza nazionale netta più grande al mondo.
Tuttavia l’obiettivo dello 0,7% resta ancora molto lontano e i progressi degli ultimi anni sono molto lenti. Se venisse mantenuto il tasso di incremento medio della percentuale registrato tra il 2012 e il 2016 (+0,03 punti percentuali ogni anno, in media), il target verrebbe raggiunto tra circa 15 anni.
L’Italia dunque fa meglio che nel passato, ma ancora non abbastanza.
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SEMAFORO GIALLO