In questi giorni sta facendo discutere la proposta di legge sul conflitto d’interessi rilanciata dal Movimento 5 stelle, a prima firma della deputata Anna Macina. In particolare, alcune critiche sono state rivolte alla proposta di escludere dalle cariche di governo – e non solo – chi possiede un patrimonio mobiliare o immobiliare superiore ai 10 milioni di euro.
Secondo Il Fatto Quotidiano, però, le critiche avrebbero convinto il M5s a fare marcia indietro, stralciando questo riferimento dalla proposta di legge. Ma impedire ai ricchi di far parte del governo sarebbe davvero incostituzionale? E perché? Vediamo i dettagli della questione.
Il testo della proposta di legge
Il testo della proposta di legge non è ancora disponibile sul sito della Camera dei deputati; è però consultabile la versione che è stata diffusa da alcune testate giornalistiche. La norma sui patrimoni superiori ai 10 milioni di euro – apparentemente ora eliminata – è contenuta all’articolo 5, che tratta delle «Incompatibilità derivanti da attività patrimoniali».
Qui si legge che le cariche di governo (anche a livello regionale e locale) e quelle delle autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione (come Agcom, Antitrust e simili) sono incompatibili con "la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all'estero» di «un patrimonio immobiliare o mobiliare di valore superiore a 10 milioni di euro, ad eccezione dei contratti concernenti titoli di Stato".
Il divieto si applica anche se ad avere il patrimonio milionario non è il titolare della carica di governo o di membro delle autorità. È infatti sufficiente che siano ricchi "il coniuge o i parenti o affini entro il secondo grado, nonché le persone stabilmente conviventi".
Perché questa norma è incostituzionale?
Ma per quale motivo una norma come questa è stata ritenuta quasi certamente incostituzionale, anche dal M5s, che infatti avrebbe deciso di eliminarla? Probabilmente è stato fatto rilevare il contrasto con gli articolo 51 e 3 della Costituzione.
Il primo dispone: «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Il principio di eguaglianza è poi specificato dall’articolo 3, secondo cui: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Dunque non è possibile impedire a un cittadino italiano di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive a causa delle sue condizioni sociali.
Questo divieto si concretizza da un lato nel fatto che gli uffici pubblici e le cariche elettive sono di norma retribuite, in modo che anche chi viene da una situazione di povertà possa accedervi (se fossero gratuite, i poveri sarebbero di fatto esclusi). Dall’altro nel fatto che escludere un cittadino solo perché è ricco – come abbiamo visto magari anche solo “di famiglia” – non è consentito.
Diverso sarebbe il caso di un cittadino che, oltre a essere ricco, sia per esempio titolare di un’impresa privata che riceve appalti milionari dallo Stato. In questo caso il rischio di conflitto d’interessi giustificherebbe la sua esclusione dalla carica. Ma la semplice ricchezza, no.
Conclusione
In assenza di una sentenza della Consulta in proposito non è possibile affermarlo con assoluta certezza, ma in base al testo degli articoli 3 e 51 della Costituzione sembra molto probabile che l’articolo 5 della proposta di legge del M5s sul conflitto d’interessi sia incostituzionale.
Non è infatti possibile discriminare un cittadino, nell’accesso a uffici pubblici e cariche elettive, in base alle sue condizioni personali e sociali. Quindi è illegittimo impedire a qualcuno di far parte del governo per il solo fatto di essere ricco.
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