Il 17 ottobre - a due settimane dalla data prevista per la Brexit - il governo britannico e la Commissione europea hanno annunciato di aver trovato un accordo sui termini dell’uscita di Londra dalla Ue. Il premier britannico, Boris Johnson, ha assicurato alla Bbc che "non esiste soluzione migliore" rispetto a questa intesa, invitando "tutti a immaginare che domani sera avremo risolto tutto e rispettato la volontà della gente, avremo l'opportunità di andare avanti".
Ma la questione non è chiusa. Ora saranno necessarie l’approvazione sia della Ue - in base all’articolo 50 del Tue devono dire sì sia il Consiglio europeo sia il Parlamento europeo - sia del Regno Unito. Secondo quanto riportano fonti di stampa, ci sono delle incognite sulle reali possibilità che l’accordo trovato ora da Boris Johnson possa essere approvato a Westminster, in particolare a causa della contrarietà del Dup, il partito unionista nordirlandese.
Il precedente premier inglese, Theresa May, aveva fallito per ben tre volte - l’ultima il 29 marzo 2019 - nel tentativo di far approvare ai deputati britannici l’accordo che lei aveva trovato con l’Unione europea.
Andiamo dunque a vedere in che cosa sono diversi l’accordo targato Johnson e quello targato May, in particolare per quanto riguarda il confine irlandese e il cosiddetto backstop. Con questo termine si indica il Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord, come vedremo meglio più avanti, che crea una “rete di protezione” per impedire il ritorno di un confine fisico tra Eire e Ulster, eliminato nel 1999 grazie agli “Accordi del Venerdì santo” firmati l’anno prima.
Gli altri punti dell’accordo, secondo quanto riporta la Commissione europea, sono infatti rimasti sostanzialmente inalterati.
Da May a Johnson: che cosa è cambiato?
Nell’accordo siglato da Theresa May con la Ue, e mai ratificato dal Parlamento britannico, la questione irlandese era stata così risolta dal Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord: il Regno Unito sarebbe rimasto (articolo 6 del Protocollo) all’interno di un’unione doganale con il resto dell’Unione europea, finché non fosse stato trovato un accordo per evitare il ritorno di una frontiera fisica tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda al termine della fase transitoria dopo la Brexit, cioè entro il dicembre 2020 (salvo proroghe). Potenzialmente, quindi, il Regno Unito sarebbe rimasto nell’unione doganale per un tempo indefinito.
L’unione doganale, lo precisiamo, è un fondamento essenziale dell’Ue. Significa che non esistono dazi doganali alle frontiere interne tra Stati membri, tutte le merci circolano liberamente all’interno della zona dell'unione doganale e le norme che vengono applicate in dogana alle merci che provengono da fuori l’Ue sono uniformi.
Nell’accordo May, l’Irlanda del Nord sarebbe rimasta parte non solo dell’unione doganale - con il resto del Regno Unito - ma anche del mercato unico europeo (questo di fatto accadrebbe anche con l’accordo targato Johnson). Si sarebbe così evitata la necessità di controlli sui beni che transitano dall’Ulster verso il resto dell’Irlanda. A quel punto, il Regno Unito avrebbe dovuto imporre però dei controlli tra Irlanda del Nord e il resto dei suoi territori per controllare merci, persone, capitali e servizi in ingresso e in uscita dal mercato unico di cui l’Ulster avrebbe fatto parte.
Infatti, perché ci sia mercato unico serve l’unione doganale, ma il mercato unico è un qualcosa di più: al suo interno infatti possono circolare liberamente merci, servizi, capitali e persone. Le barriere tecniche, giuridiche e burocratiche che impediscono questa libera circolazione sono state eliminate nell’Unione Europea (con alcune eccezioni).
Nell’accordo trovato da Boris Johnson con la Ue le cose cambiano leggermente.
Il Regno Unito esce del tutto dall’unione doganale, e quindi - conseguenza fondamentale - potrà concludere liberamente accordi commerciali con Paesi terzi. Se fosse rimasto nell’unione doganale, la sua libertà di siglare simili accordi sarebbe stata parzialmente limitata.
Per un periodo di almeno cinque anni, ci sarà una frontiera “legale” tra le due Irlande, ma in concreto la frontiera sarà nel Mare d’Irlanda, tra Gran Bretagna e Irlanda. Questo perché, se i beni saranno considerati “a rischio” di entrare in Irlanda, e quindi nel territorio Ue, verranno tassati, altrimenti no (sono esclusi i beni personali). I beni dovranno quindi essere controllati al loro ingresso nell’Irlanda del Nord. Sulla questione di quali beni si possano considerare a rischio e quali no saranno necessarie future intese.
L’Irlanda del Nord rimarrà allineata poi, come già nell’accordo della May, agli standard sui beni previsti dall’Unione europea (anche questo sarà quindi oggetto di controlli alla frontiera che si viene a creare tra Ulster e il resto del Regno Unito).
Passati quattro anni dalla fine del periodo transitorio, quindi non prima della fine del 2024, il Parlamento dell’Ulster potrà decidere se rinnovare questi accordi o meno. Se lo farà a maggioranza semplice ci sarà un rinnovo per quattro anni. Se saranno raggiunte specifiche maggioranze (sia di unionisti che di nazionalisti) il rinnovo sarà di otto anni. Nel caso non li rinnoverà, si rischia il ritorno del confine fisico tra Irlande.
L’Irlanda del Nord è peraltro da due anni senza un governo, proprio perché il Parlamento dell’Ulster è spaccato e non riesce a trovare un accordo tra unionisti del Dup e nazionalisti dello Sinn Féin.
Conclusione
L’accordo trovato tra l’esecutivo britannico, guidato da Boris Johnson, e la Ue sulla Brexit deve ancora essere approvato dai rispettivi Parlamenti e dal Consiglio europeo.
I rischi maggiori di una non approvazione da parte dei deputati britannici sono legati alla contrarietà del partito nordirlandese unionista Dup.
Il backstop sull’Irlanda è infatti cambiato rispetto a quello negoziato da Theresa May, ma non molto. La differenza maggiore è l’uscita del Regno Unito nella sua interezza dall’unione doganale, il che consentirà a Londra di negoziare liberamente accordi commerciali con Paesi terzi.
Restano invece la necessità di controlli tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito e l’allineamento dell’Irlanda del Nord agli standard comunitari per quanto riguarda il mercato unico. A parte il backstop, l’accordo di Johnson ricalca poi sostanzialmente quello della May sugli altri capitoli.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it