L’ex segretario del Pd, e attuale leader di Mdp-Articolo 1, Pier Luigi Bersani è stato ospite su Otto e Mezzo lo scorso 15 novembre e, tra le altre cose, ha dichiarato (min. 17.40): “Siamo al record storico della precarietà: l’Istat ci certifica che nell'ultimo anno su 100 contratti solo 7 sono a cosiddetto – senza articolo 18 – tempo indeterminato”.
Il dato Istat che cita Bersani fa riferimento agli occupati e non ai contratti: possiamo quindi ipotizzare che l’esponente di Mdp stesse facendo riferimento ai primi e abbia sbagliato termine. In questo caso, la sua affermazione è corretta.
Il record di precarietà
La pubblicazione più recente dell’Istat su “Occupati e disoccupati”, uscita il 31 ottobre scorso, certifica che a settembre 2017 i lavoratori dipendenti in Italia erano 17,764 milioni. Di questi 14,962 milioni erano “permanenti” mentre 2,801 milioni “a termine” (il 15,76% del totale). Come dice Bersani, questo è un record storico.
Con l’evoluzione del mercato del lavoro i contratti a termine si sono diffusi, lentamente ma costantemente, nel corso degli ultimi decenni.
Guardando alle serie storiche Istat possiamo verificare che nel 1992 (IV trimestre), su un totale di 14,961 milioni di dipendenti quelli a termine erano 1,594 milioni, cioè il 10,65%. Cinque anni dopo, su un totale di 14,492 milioni di dipendenti, erano aumentati a 1,618 milioni, cioè l’11,16%. Nel quarto trimestre 2002 il totale dei dipendenti era salito a 15,933 milioni e quelli a termine erano 1,982 milioni, cioè il 12,43%.
Per i dati successivi possiamo consultare le tabelle (le “serie storiche” scaricabili) allegate alla suddetta recente pubblicazione Istat. Vediamo così che nel 2007 (settembre) i dipendenti totali erano diventati 16,962 milioni, di cui 2,250 milioni a termine, cioè il 13,26%. Nel 2012 (settembre), su 16,941 milioni di dipendenti totali, 2,334 milioni erano a termine, cioè il 13,77%. Nel settembre 2015, poi, su 17,105 milioni di dipendenti erano a termine 2,434, il 14,22%.
Possiamo insomma dire che il risultato di settembre 2017 (2,801 milioni di dipendenti a termine, il 15,76%) è sì un nuovo record, come dice Bersani, ma si inserisce in una dinamica di costante aumento del peso dei contratti a termine sul totale dei contratti del lavoro dipendente, che dura da più di due decenni.
I nuovi occupati dell’ultimo anno
Bersani parlando di “contratti” degli ultimi 12 mesi commette un errore, almeno di termini. Come abbiamo detto, il dato dell’Istat che cita si riferisce infatti agli “occupati” ed è teoricamente possibile, ad esempio, che un unico occupato abbia più contratti in un anno. In questo caso, la percentuale dei contratti a tempo indeterminato sarebbe ancora inferiore. Comunque, se guardiamo all’aumento degli occupati e non ai contratti Bersani ha ragione.
Nella pubblicazione Istat del 31 ottobre scorso si legge: “Su base annua si conferma l’aumento degli occupati (+1,4%, +326 mila*). La crescita interessa uomini e donne e riguarda i lavoratori dipendenti (+387 mila, di cui +361 mila a termine e +26 mila permanenti)”.
Negli ultimi 12 mesi, infatti, i dipendenti permanenti sono passati da 14,937 milioni a più di 14,962 milioni (+26 mila, arrotondando), mentre i dipendenti a termine sono passati da 2,440 milioni a 2,801 milioni (+361 mila).
Fatte le proporzioni, quei 26 mila dipendenti permanenti rappresentano meno del 7% dell’aumento totale, mentre i 361 mila dipendenti a termine sono il 93% abbondante.
Conclusione
Bersani sbaglia a parlare di contratti, e cita un dato riferito agli occupati. Considerando questi ultimi è vero che, fatto 100 l’aumento degli occupati in Italia nell’ultimo anno, solo 7 sono occupati a tempo indeterminato.
La percentuale di dipendenti a tempo determinato che abbiamo oggi è poi effettivamente un record, come dice Bersani. L’aumento progressivo dei contratti a termine (in numero assoluto e soprattutto in percentuale) è un fenomeno a cui si assiste da decenni.
(*Nota: l’aumento totale degli occupati è inferiore all’aumento dei soli dipendenti, perché compensato da un calo degli indipendenti)
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it