Intervistato dal Corriere della Sera il 6 novembre scorso, all’indomani della vittoria in Sicilia del candidato di centrodestra Nello Musumeci, Silvio Berlusconi ha fatto una serie di affermazioni che abbiamo sottoposto al nostro fact-checking.
Gli esecutivi non eletti dal popolo
A proposito della situazione del Pd e di Renzi, Berlusconi ha dichiarato: “Il Partito democratico […] ha dato vita a ben quattro governi consecutivi non eletti dal popolo”.
Si tratta di un’affermazione scorretta. Nessun governo della Repubblica italiana è mai stato “eletto dal popolo”. La Costituzione (Parte II – Titoli I, II e III) prevede infatti un sistema parlamentare dove i cittadini eleggono i propri rappresentanti in Parlamento ed è poi il Presidente della Repubblica a scegliere il presidente del Consiglio, a cui affida l’incarico di formare il governo (art. 92 co. 2 cost.).
Il Quirinale tiene ovviamente conto del risultato delle elezioni e, per prassi, dà l’incarico dopo un giro di consultazioni con i capi dei gruppi parlamentari per conoscerne le intenzioni. Successivamente il governo giura (art. 93 cost.) nelle mani del Presidente della Repubblica e deve quindi ottenere il voto di fiducia di entrambe le Camere (art. 94 cost.).
Secondo alcune voci autorevoli, da ultimo quella dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, addirittura sarebbe incostituzionale quella norma della legge elettorale (inserita col Porcellum e mantenuta dal Rosatellum bis) per cui i partiti e le coalizioni indicano nome e cognome del “capo”. La norma infatti genera l’equivoco – su cui in questo caso marcia Berlusconi – secondo cui sarebbero i cittadini a scegliere il presidente del Consiglio, comprimendo in questo modo la discrezionalità del Colle.
In uno scenario tripolare – quello che ha generato gli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni, mentre Monti ha presieduto un governo tecnico sostenuto sia da Berlusconi che dal Pd – in cui nessuna forza politica ha il controllo di ambedue le Camere, è quasi inevitabile che non diventi presidente del Consiglio il candidato (informale) di uno dei tre schieramenti, ma un nome di compromesso.
Gli sbarchi di immigrati
Parlando di immigrazione, Berlusconi ha poi affermato: “Quando governavamo avevamo praticamente azzerato gli sbarchi: nel 2010 sono arrivati in Italia tanti clandestini quanti in un solo weekend la scorsa primavera”.
Berlusconi ha ragione sui numeri degli sbarchi, ma sbaglia a qualificare i migranti integralmente come “clandestini”. Vediamo innanzitutto i numeri.
Nel 2010 sono sbarcate in Italia 4.406 persone. Nella primavera 2017, ad esempio nel weekend del 27-28 maggio, secondo i dati del Viminale sono sbarcate in Italia 5.028 persone (2.167 sabato e 2.861 domenica). Addirittura di più, dunque, che nell’intero 2010.
Non si tratta tuttavia di “clandestini”. L’espressione è da evitare secondo diversi codici deontologici (ad esempio quello dell’Ordine dei Giornalisti), in quanto connotata negativamente e giuridicamente inesistente. Ma anche ipotizzando che Berlusconi volesse riferirsi agli “irregolari”, a quei migranti che non hanno cioè diritto all’asilo o ad altre forme di protezione internazionale e non hanno dunque titolo per restare in Italia, non è vero che tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste siano tali.
Come abbiamo verificato in passato, negli ultimi mesi il 40% circa di chi sbarca e fa richiesta di asilo vede accolta la propria domanda.
Il tasso di disoccupazione
Parlando poi dei fallimenti del governo di centrosinistra, Berlusconi ha dichiarato: “[Nel 2011] la disoccupazione in Italia era due punti percentuali sotto la media europea, oggi è 2,5 punti sopra quella media”.
Si tratta di un’affermazione imprecisa, anche se è vero che prima della crisi l’Italia avesse un tasso di disoccupazione inferiore alla media europea mentre ora è superiore.
Nel 2011 la disoccupazione in Italia era all’8,4%, e nell’Unione europea al 9,7%. Dunque il nostro Paese era 1,3 punti sotto la media europea, non 2.
Nel settembre 2017 la disoccupazione in Italia – secondo le recenti stime Istat – era all’11,1%, e nell’Unione europea, nello stesso mese, è stata del 7,5 % secondo Eurostat. Dunque l’Italia è al di sopra della media europea di 3,6 punti e non di 2,5: anche peggio di quanto detto da Berlusconi.
Le tasse
Berlusconi prosegue poi dicendo che “Noi eravamo riusciti a portare la pressione fiscale al 39% – comunque ancora troppo alta – ora è al 43,3%”.
Il primo dato è sbagliato se, come sembra dal contesto, si riferisce all’ultima esperienza di governo di Berlusconi, e anche il secondo non è corretto.
L’ultimo governo Berlusconi si è insediato nel 2008 con la pressione fiscale al 41,7% e si è dimesso a fine 2011, quando la pressione fiscale era rimasta sostanzialmente invariata, anzi in lieve rialzo al 41,9%.
La pressione fiscale era scesa al 39,1% sotto un governo Berlusconi – ma nel 2005.
Sul livello di pressione fiscale attuale, l’Istat ha fornito di recente le stime per il secondo trimestre 2017, che la pongono al 41,8% (come nello stesso periodo dell’anno precedente).
La Nota di aggiornamento del Def di settembre 2017, redatta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, stima per l’intero 2017 un dato leggermente superiore, il 42,6%. Il livello scende al 42% – suggerisce la nota al Def – se si considerano gli 80 euro come una misura di riduzione del carico fiscale. Una questione, questa, che fin da subito ha visto contrapposti Mef e Istat, con quest’ultimo che considera gli 80 euro come “spesa sociale”.
In ogni caso, non è vero che la pressione fiscale sia attualmente al 43,3%. Un dato, questo, che per l’Ocse va anzi riferito al 2015.
La povertà
Nell’elenco di problemi causati dai governi successivi al suo ultimo, Berlusconi ha detto poi: “Quindici milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, e di loro 4.750.000 in condizioni di povertà assoluta”.
Non è un’affermazione nuova dell’ex presidente del Consiglio, che l’aveva detta in termini un poco diversi un anno fa. Ma detta così, il primo dato è sbagliato, mentre Berlusconi sul secondo ha ragione.
Secondo l’ultimo rapporto sulla povertà dell’Istat, pubblicato lo scorso luglio, ci sono 2 milioni 734 mila famiglie, corrispondenti a 8 milioni 465 mila individui, che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa. Non 15 milioni dunque.
La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media per persona nel Paese (cioè alla spesa pro-capite). Nel 2016 questa spesa è risultata pari a 1.061,35 euro mensili.
Di questi 8 milioni e 465 mila individui, 4 milioni e 742 mila (la stessa cifra circa data da Berlusconi) vivono poi in condizioni di povertà assoluta. Non ha cioè un reddito sufficiente per potersi permettere i beni e servizi inseriti nel paniere di povertà assoluta (casa, cibo, riscaldamento, luce, elettrodomestici indispensabili etc.).
200 milioni di voti
Infine Berlusconi, rispondendo a una domanda su chi potrebbe candidare Forza Italia al posto suo, ha affermato tra le altre cose: “Finora gli italiani mi hanno dato in totale, dal 1994, oltre 200 milioni di voti”.
Ci eravamo già occupati di questa affermazione due anni fa, contando i voti presi da Forza Italia, Pdl e centrodestra alle elezioni politiche ed europee. Avevamo quindi registrato come per arrivare al totale di 200 milioni si rendessero necessarie diverse forzature.
In particolare, si dovrebbero considerare separatamente i voti ottenuti alla Camera e al Senato, nonostante siano con tutta evidenza e per la stragrande maggioranza dei casi l’espressione di uno stesso elettore, e si dovrebbero attribuire a Silvio Berlusconi tutti i voti della coalizione, sia quando il leader del centrodestra fosse indicato esplicitamente sulla scheda (nelle ultime tre elezioni) sia quando non lo fosse.
È facile rendersi conto che un voto per la Lega Nord nel 1994, ad esempio, non era necessariamente un voto “guadagnato” direttamente da Silvio Berlusconi.
Dunque Berlusconi ha più torto che ragione a rivendicare per sé i “200 milioni di voti” di cui parla.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it