Torna a far parlare l’annosa questione del cambio lira/euro, dopo che Silvio Berlusconi ha accusato Romano Prodi di essere responsabile dell’introduzione a “valori improvvidamente accettati” della moneta unica europea.
Il leader di Forza Italia, in un’intervista al Corriere dell’Umbria del 2 gennaio 2018, ha detto che negli ultimi venti anni “alcuni cambiamenti sono stati in peggio, come l'introduzione dell'euro con quelle modalità e a quei valori improvvidamente accettati da Prodi, che ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani”.
Parole alle quali Prodi ha replicato tramite una nota nella quale ha dichiarato che “è surreale che Silvio Berlusconi punti il dito accusatorio per la gestione dell'introduzione dell'euro”. E questo, sostiene l’ex premier, a maggior ragione se si pensa che “fu proprio il suo governo che non volle gestire questa fase come invece avvenne in tutti gli altri Paesi. Il 1 gennaio del 2002, quando la moneta unica fu introdotta, Berlusconi governava da sette mesi e per i 3 anni successivi non ha fatto assolutamente nulla”.
Al netto delle valutazioni politiche, è vero quanto sostiene Berlusconi sul dimezzamento dei redditi e dei risparmi?
Riassumendo, potremmo dire che le frasi del leader di Forza Italia non trovino alcun riscontro. Ecco perché.
L’inflazione e i prezzi al consumo
È un vecchio cavallo di battaglia di Berlusconi accusare Prodi di essere responsabile dell’introduzione dell’euro. A fine novembre 2017 in un’intervista a Che tempo che fa con Fabio Fazio, il leader di Forza Italia aveva detto che “la sinistra non ha fatto nulla dopo che c’è stato il cambio disastroso della lira con l’euro che ha tagliato a metà il potere d’acquisto degli italiani”. Ce ne eravamo occupati, allora, nel nostro fact-checking.
Potere d’acquisto e redditi e risparmi non sono la stessa cosa, anche se possono essere considerati collegati perché un aumento dei prezzi non connesso a un adeguamento dei salari riduce il potere d’acquisto.
Romano Prodi era il presidente del Consiglio del governo di centrosinistra che, con Carlo Azeglio Ciampi come ministro del Tesoro, guidò l’Italia nel periodo dal 1996 al 1998 che vide il paese aderire all’euro (con il cambio di 1 euro = 1936,27 lire), in seguito al Trattato di Maastricht del 1992. L’adesione dell’Italia alla moneta unica avvenne il 1° gennaio 1999 e non va confusa con l’effettiva introduzione dell’euro come moneta corrente per i cittadini (1 gennaio 2002).
Secondo Berlusconi, proprio l’adesione all’euro sarebbe la causa di un raddoppio dei prezzi e di un “dimezzamento” del potere d’acquisto dei redditi e dei risparmi. Già in un’altra analisi avevamo approfondito l’argomento, e in particolare l’idea secondo la quale la sua introduzione abbia fatto raddoppiare i prezzi.
Questo raddoppiamento non è avvenuto.
Per verificarlo si possono controllare diversi valori. Il primo è l’inflazione, cioè l’aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi (nella banca dati Istat si trova con il percorso Prezzi > Prezzi al consumo > IPCA > IPCA medie annue dal 2001 > Nazionali per aggregati speciali).
Si può così notare come l’inflazione annua, tra il 2002 e il 2015, abbia avuto una media intorno al 2 per cento, con massimi nel 2008 (3,5%) e nel 2012 (3,3%). Se invece guardiamo l’indice generale dei prezzi al consumo, passiamo dal 75,9 del 2001 al 99,9 del 2016.
Un aumento quindi c’è stato tra il 2001 e il 2016: in particolare se un bene di consumo nel 2001 costava l’equivalente in lire di 75,9 euro (gli euro sarebbero entrati in vigore nel 2002), oggi costerebbe 99,9 euro, con un aumento complessivo del 31,6%.
Non si può in ogni caso parlare di raddoppio dei prezzi e, soprattutto, esso va associato anche agli adeguamenti degli stipendi, che sono stati bloccati nel settore pubblico per molti anni, ma solo dopo la crisi del 2008.
Redditi e risparmi dimezzati?
Ma per prendere la dichiarazione di Berlusconi più alla lettera, controlliamo i dati Istat sui redditi e risparmi delle famiglie italiane (in particolare le serie storiche che partono proprio dal 1999, anno di adesione all’euro). Il totale dei risparmi delle famiglie italiane, in termini assoluti, si sono dimezzati?
In breve: no. Se si guarda al reddito disponibile, nel secondo trimestre del 1999 (anno di adesione all’euro) era di 197.504 milioni di euro. Nel secondo trimestre del 2002 (anno di introduzione dell’euro) era salito a 224.738 milioni di euro, cresciuti nel secondo trimestre del 2017 a 278.571 milioni di euro. Anche in termini assoluti, quindi, non è vero che il reddito delle famiglie italiane si sia dimezzato, ma anzi è cresciuto del 41% in termini assoluti rispetto al 1999 e del 24% rispetto al 2001.
La propensione al risparmio, invece, viene analizzata in valori percentuali e indica quale percentuale del proprio reddito una famiglia è intenzionata a risparmiare.
Nel secondo trimestre del 1999 era del 12,5%, nel secondo trimestre del 2002 del 13,5% e nel secondo trimestre del 2017 del 7,5%. In questo caso, parrebbe vero che il calo sia quasi della metà, ma osservando tutti gli anni si può notare come questo sia avvenuto di fatto non da subito ma solo durante gli anni della crisi.
Fino al secondo trimestre del 2008, quando l’euro era stato introdotto già da più di sei anni, l’indice era pari al 12,3% - più o meno lo stesso di nove anni prima - e solo dall’anno successivo è iniziato a calare sensibilmente: di circa un punto all’anno fino al secondo trimestre del 2012, quando si attestò al 7,2%.
È curioso notare che proprio Berlusconi sia stato presidente del Consiglio dal maggio 2008 al novembre 2011, quando la propensione al risparmio delle famiglie italiane si è effettivamente quasi dimezzata.
L’affermazione di Berlusconi sul fatto che l’euro abbia “dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani” non trova quindi conferma nei dati: relativamente ai redditi è completamente errata, mentre sulla propensione al risparmio (ma non sui risparmi in valore assoluto) non è lontana dalla realtà, anche se quel calo è avvenuto proprio durante gli anni del suo governo.
Le considerazioni di Banca d’Italia
Certo, negli ultimi anni la situazione economica è peggiorata, ma questo ha poco a che fare con l’euro. Per provare a mettere un punto fermo sulla questione ci si può anche riferire all’ultima Relazione annuale della Banca d’Italia. Bankitalia sottolinea che nel 2016 il reddito degli italiani e i loro risparmi sono cresciuti rispetto ai due anni precedenti.
A proposito del calo dei redditi, la relazione di Banca d’Italia ne parla in riferimento alla crisi economica e finanziaria: i redditi disponibili nel nostro paese sono calati parecchio, in rapporto agli altri Paesi dell’area euro. Infatti, l’Italia è stata, dopo Grecia e Spagna, la terza nazione con il maggiore calo negli anni tra il 2007 e il 2014 (-11%).
Anche per quanto riguarda la ricchezza delle famiglie è interessante notare come la Banca d’Italia si riferisca a un calo avvenuto in conseguenza alla crisi globale e spieghi che, nonostante una ripresa del 2016, i livelli precrisi siano ancora lontani. È però significativo che, se si guarda solo alla ricchezza finanziaria, “dal 2004 al 2014, ultimo anno di rilevazione, il valore mediano delle attività finanziarie detenute dal 20 per cento più povero delle famiglie è diminuito di oltre il 40 per cento, quello riferito al 20 per cento più ricco è aumentato di circa un terzo”.
Conclusioni
Le affermazioni di Berlusconi sul fatto che i redditi e i risparmi delle famiglie italiane siano stati dimezzati a causa dell’introduzione dell’euro non trovano nessun riscontro a vari livelli.
In primo luogo non è vero che redditi e risparmi si siano dimezzati, in termini assoluti. In secondo luogo, anche riscontrando un calo nel potere d’acquisto delle famiglie non è possibile connetterlo all’introduzione dell’euro. In terzo luogo, i valori e gli indici relativi a questi aspetti sono peggiorati in particolare negli anni successivi alla crisi economica e finanziaria del 2008, che quindi sembra poter essere considerata la prima imputata del peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie italiane.