Giovanni Paglia, ex deputato di Sel e dirigente di Sinistra Italiana, ha scritto il 10 gennaio su Facebook: «Come è noto i dipendenti pubblici che andranno in pensione con Quota 100 vedranno il loro tfr con 7 anni di ritardo. Per evitare comprensibili rivolte, il Governo ha ben pensato di far anticipare i soldi dalle banche, al “modico” tasso del 3%. Ovviamente il conto è a carico del contribuente. Parliamo di almeno 200 milioni l’anno, che dalle nostre tasche finiranno dirette ai profitti del sistema bancario».
Insomma, Paglia denuncia un rinvio del Tfr per chi usufruirà di “quota 100”, con un coinvolgimento delle banche e un costo per le casse dello Stato. Procediamo con ordine.
Il tfr dei dipendenti pubblici che sfrutteranno quota 100
La legge che istituisce “quota 100” ancora non è stata ufficialmente presentata né approvata, anche se il governo nella legge di Bilancio per il 2019 ha già creato un apposito fondo (art. 1 co. 256) per realizzarla, con una dotazione di 3,9 miliardi per il 2019, 8,3 per il 2020, nel 8,6 per il 2021, 8,1 per il 2022, 7 per il 2023 e 7 miliardi di euro ogni anno a partire dal 2024.
Il governo a inizio 2019 ha però diffuso una bozza di decreto legge, che tratta di reddito di cittadinanza e di pensioni, in attesa di quello definitivo. Quindi Paglia sta facendo riferimento a questo documento.
Qui troviamo (art. 14) in primo luogo una definizione precisa di cosa sia “quota 100”: il diritto ad andare in pensione anticipatamente al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni.
All’articolo 23 della bozza di decreto legge, poi, è contenuta la disposizione di cui parla l’ex deputato di Sel. Qui infatti viene stabilito che ai dipendenti pubblici “cui è liquidata la ‘pensione quota 100’ oppure il trattamento pensionistico anticipato indipendente dall’età anagrafica (…) l’indennità di fine servizio comunque denominata [il tfr di cui parla Paglia n.d.r.] è corrisposta al momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione della stessa secondo le disposizioni di cui all’articolo 24 del d.l. 6 dicembre 2011 n. 201”.
Insomma: la bozza di decreto dice che chi va in pensione prima, grazie alla “quota 100”, riceverà comunque il Tfr solo quando avrebbe maturato il diritto alla pensione con la legge precedente.
Cioè secondo le disposizioni della riforma Fornero, che è contenuta all’articolo 24 del cosiddetto “Salva Italia” approvato dal governo Monti ai primi di dicembre 2011 (d.l. 6 dicembre 2011 n.201. E quali sono i requisiti in base alla riforma Fornero? Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Inps per il 2019, il lavoratore otterrebbe l’indennità di fine servizio a 67 anni di età, o dopo 43 anni e 3 mesi (42 anni e 3 mesi le lavoratrici) di anzianità contributiva.
La bozza del decreto legge in questione, in realtà, stabilisce (art. 15 ) che l’anzianità contributiva richiesta per il 2019 rimarrà quella dell’anno scorso, a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le lavoratrici). Ma questo non modifica molto la situazione.
Tirando le fila: rispetto ai 62 anni di età anagrafica più 38 anni di anzianità contributiva, che costituiscono i requisiti della “pensione quota 100”, si tratta di un allungamento di cinque anni.
L’intervento delle banche
Il secondo comma dell’articolo 23 della bozza di decreto legge riguarda poi l’intervento delle banche di cui parla l’esponente di Sinistra Italiana.
Dispone infatti l’articolo che “le pubbliche amministrazioni stipulano apposite convenzioni con gli istituti di credito per l’erogazione anticipata dell’indennità di fine servizio”.
Dunque, come sostiene Paglia, le banche di fatto anticipano il Tfr al lavoratore, e verranno ripagate dallo Stato quando il lavoratore avrà in effetti maturato – ai sensi della legge Fornero – l’età o l’anzianità contributiva necessarie.
Il secondo comma dell’articolo 23 prevede anche che “siano preventivamente fissati i limiti dei tassi di interesse che potranno essere applicati dagli Istituti di credito”.
Il tasso al 3% e i 200 milioni
Non abbiamo trovato in nessun documento ufficiale una quantificazione al 3% del limite del tasso di interesse che le banche potranno applicare.
Della questione ha però parlato il 10 gennaio il ministro della Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, ospite su La7. Bongiorno ha specificato che le trattative con gli istituti di credito sono in corso. Parte del costo di questo “prestito” graverà sul lavoratore e parte sullo Stato.
Quindi fino a che non si conosceranno nel dettaglio gli esiti della trattativa in corso è impossibile sapere quale sarà il tasso di interesse, quanta parte di questo verrà posta a carico del lavoratore e, di conseguenza, quale sarà il costo per le casse dello Stato dell’operazione. La quantificazione in 200 milioni di euro operata da Paglia, seppur possibile, al momento pare non supportata da documenti ufficiali.
Conclusione
Premesso che al momento qualsiasi ragionamento è fondato su una bozza di decreto legge che ancora non è definitiva, Paglia fa un’affermazione sostanzialmente corretta nella prima parte e al momento non verificabile nella seconda.
È infatti vero che la riforma di “quota 100”, per come è stata immaginata dal governo nella bozza di decreto legge, preveda che l’indennità di fine servizio dei dipendenti pubblici venga erogata quando questi maturano i requisiti in base alla legge Fornero, cioè a 67 anni, cinque in più (e non sette come dice Paglia) dei 62 previsti da “quota 100”.
Vero poi che, per evitare che il lavoratore debba aspettare così tanti anni prima di poter ricevere la propria indennità di fine servizio, il governo abbia disposto di chiedere alle banche di anticipare i soldi. I tassi di interesse massimi dovranno quindi essere fissati preventivamente.
Al momento non risulta siano stati fissati al 3%, come affermato da Paglia, e anzi pare che le trattative siano in corso. Inoltre non si sa quanta parte di questo costo del prestito verrà attribuita al lavoratore e quanta allo Stato. Dunque non è possibile stabilire se la cifra di 200 milioni sia realistica o meno.
Di sicuro è vero che il costo degli interessi, se come promesso dal ministro Bongiorno non verrà interamente caricato sul lavoratore che opta per “quota 100” e graverà anche sullo Stato, andando a remunerare le banche che concedono il prestito.
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