Il 5 marzo, durante una cerimonia presso l’ospedale “Moscati” di Avellino, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha criticato le posizioni del governo sul tema dell’autonomia differenziata, tornata di attualità nelle ultime settimane.
Secondo l’esponente del Partito democratico, questa forma di autonomia "significa dare al Veneto 6 miliardi in più rispetto all’attuale spesa storica".
Ma è davvero così? Abbiamo verificato.
Che cos’è l’autonomia differenziata e chi ha fatto richiesta
La cosiddetta “autonomia differenziata”, chiamata anche “regionalismo differenziato” o “simmetrico”, permette ad alcune amministrazioni regionali di dotarsi di poteri diversi dalle altre, dopo una trattativa con le autorità statali.
La Costituzione, come modificata con la riforma del 2001 – nota anche come “riforma del Titolo V” – stabilisce infatti che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia [...] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata» (art. 116 comma 3).
Nelle ultime settimane, si è tornato a parlare di autonomia regionale perché il governo è in fase di trattativa con tre regioni che ne hanno fatto richiesta: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
A oggi, non c’è ancora un accordo tra i due partiti di maggioranza per trasformare gli accordi di pre-intesa (firmati con il governo Gentiloni a febbraio 2018) in una vera e propria concessione di maggiore autonomia alle tre regioni.
Ogni ragionamento sul tema, quindi, non si può basare su documenti ufficiali definitivi, ma sul testo di pre-intesa del 2018 e sulle bozze pubblicate il 25 febbraio 2019 dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie.
Che cosa vuole il Veneto
Il percorso verso il “regionalismo differenziato” del Veneto parte dal giugno 2014, quando il Consiglio regionale della regione approvò due leggi regionali per indire altrettanti referendum consultivi.
Il 22 ottobre 2017, i Sì alla richiesta di maggiore autonomia da parte del Veneto ottennero un’ampia vittoria (il 95 per cento), portando il presidente della Regione Luca Zaia a dichiarare: «Chiederemo queste 23 competenze, il federalismo fiscale, i 9/10 delle tasse, perché vogliamo essere come Trento e Bolzano».
Questa dichiarazione di intenti è stata messa nero su bianco: il Consiglio regionale, dopo il referendum, approvò il 15 novembre 2017 un progetto di legge statale: cioè “suggerì” come sarebbe dovuta essere la legge, che deve essere approvata dal Parlamento nazionale, con cui concedere maggiori competenze al Veneto.
L’articolo 2 della proposta veneta riguardava uno dei temi più dibattuti della questione, quello delle risorse: esse venivano definite in «9/10 del gettito riscosso nel territorio della regione del Veneto delle principali imposte erariali (Irpef, Ires e Iva), che si aggiungono ai gettiti dei vigenti tributi propri regionali e agli specifici fondi di cui il disegno di legge chiede la regionalizzazione».
Il percorso per decidere come destinare le risorse, però, è più articolato.
La questione delle risorse
Al di là della proposta di parte veneta, quante risorse verranno assegnate al Veneto in base alle nuove competenze? A oggi, è impossibile dirlo con precisione.
L’ordinamento finanziario delle regioni a statuto ordinario è complesso e articolato. Le fonti di finanziamento sono molte, tra cui alcune tasse regionali, ma anche una compartecipazione dell’Iva, l’Irap e l’addizionale Irpef.
Sia l’accordo di pre-intesa firmato dal governo Gentiloni e il Veneto nel febbraio 2018 che la bozza di accordo pubblicata il 25 febbraio 2019 si occupano dell’allocazione delle risorse.
Le risorse – finanziarie, umane e strumentali – da assegnare alla Regione una volta ottenuta maggiore autonomia saranno determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione (composta da 18 persone: nove rappresentanti scelti dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie e nove rappresentanti designati dalla Giunta della Regione Veneto).
Costo storico e fabbisogni standard
Inizialmente, il Veneto – così come le altre Regioni coinvolte – riceverà la gestione delle risorse in base al criterio del “costo storico”, ossia quanto ha speso la Regione in media negli ultimi anni per ogni cittadino per le competenze richieste.
Entro un anno dall’entrata in vigore degli accordi definitivi, però, le risorse saranno determinate dalla Commissione paritetica «in termini dei fabbisogni standard» (articolo 5 della bozza di accordo di febbraio 2019). Questi fabbisogni sono le “reali” necessità finanziarie di una regione nel fornire determinati servizi, sulla base, per esempio, degli aspetti socio-demografici dei suoi abitanti.
Insomma, quanto è stato speso in passato a quel fine – il “costo storico” – non è più rilevante. Non si sa ancora se il nuovo fabbisogno standard sarà superiore rispetto al criterio in funzione nel primo anno.
Da dove vengono i 6 miliardi di De Luca?
Come abbiamo visto, però, a oggi è impossibile sapere quante e quali risorse saranno trasferite dallo Stato alle Regioni per la gestione delle materie ottenute con l’autonomia differenziata. Negli scorsi mesi, alcuni commentatori hanno comunque avanzato delle stime.
Per spiegare il numero citato da De Luca bisogna considerare il “residuo fiscale”: cioè la differenza tra le tasse pagate allo Stato in un certo territorio – in questo caso il Veneto – e quanto lo Stato spende per fornire servizi in quello stesso territorio. La differenza è appunto il “residuo fiscale”.
Un articolo del quotidiano di Napoli Il Mattino del 15 febbraio 2019 ha fatto una stima riguardo il Veneto. Se la regione settentrionale trattenesse sul territorio i nove decimi delle tasse pagate in Veneto (tutte quelle che oggi vanno allo Stato centrale: Iva, Irpef e così via) – prendendo per buona una stima di 12 miliardi di euro per il cosiddetto “residuo fiscale” – «avrebbe 6 miliardi in più». Il “residuo fiscale”, cioè, si dimezzerebbe. Stime ancora diverse, di settembre 2018, parlano invece di 5 miliardi di euro in più in favore del Veneto.
L’articolo di stampa non esplicita i calcoli, ma proviamo a farlo noi. Secondo il database dei Conti pubblici territoriali, le tasse e imposte pagate in Veneto – tra dirette e indirette – ammontavano nel 2016, ultimo anno disponibile, a circa 46 miliardi di euro (dati disponibili qui). Tenendo per buona la stima di 12 miliardi di euro di residuo fiscale, oggi “restano in Veneto” 34 miliardi.
Se si applicasse il principio dei nove decimi di cui parla Zaia, “resterebbero in Veneto” invece più di 40 miliardi di euro (i nove decimi di 46 miliardi). La differenza tra i 34 di oggi e i 40 del futuro desiderato dal presidente veneto è appunto i sei miliardi di cui parla De Luca.
Che cosa non torna in questa stima
Questa stima ha alcuni problemi.
Per prima cosa, la richiesta dei nove decimi – avanzata con la proposta di legge regionale veneta del 2017 – non è presente nell’ultima bozza di accordo pubblicata dal governo, così come nella pre-intesa di accordo del 2018. Attualmente, dunque, non sembra plausibile avanzare ipotesi di trasferimento di risorse sulla base di questo scenario.
Inoltre, è molto difficile calcolare il “residuo fiscale” e in particolare quanto ritorni sul territorio. E quindi è molto difficile anche capire quanto il Veneto ci guadagnerebbe o perderebbe rispetto alla situazione odierna. Esistono infatti diverse stime per ogni regione, che cambiano notevolmente a seconda dei criteri con cui vengono computate spese ed entrate, come ha spiegato il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro in un’audizione alla Camera dei deputati a novembre 2017.
Per esempio, i dati dei Conti pubblici territoriali e quelli della Banca d’Italia, utilizzati per calcolare i residui fiscali, sono raccolti in maniera diversa, in base agli enti pubblici considerati, alla natura contabile dei numeri analizzati e ai criteri di regionalizzazione – ossia di trasferimento alle regioni – delle voci di entrata e di spesa. Insomma un processo articolato e complesso, a causa dei numerosi tipi di transazione da tenere in considerazione.
Conclusione
Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha criticato il progetto di autonomia differenziata del Veneto, che farebbe rimanere nelle casse della regione del Nord 6 miliardi di euro l’anno in più rispetto a quanto non accada ora.
A oggi però è impossibile stabilire con certezza sia come verranno definite le modalità di assegnazione delle risorse trasferite dallo Stato alle Regioni che hanno fatto richiesta di maggiore autonomia, sia in quali quantità. La questione delle risorse sarà infatti decisa da una commissione composta da rappresentanti della Regione e dello Stato.
Al momento esiste solo una bozza di accordo di intesa tra Stato e le tre singole regioni coinvolte, che non permette di fare calcoli certi sulle conseguenze finanziarie della nuova forma di autonomia.
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