La capogruppo al Senato di Forza Italia Anna Maria Bernini ha scritto in un comunicato del 17 aprile che "Se [l’Iva n.d.r.] aumenterà (...) per gli italiani è in arrivo una stangata da circa 1.200 euro annui (...). Non solo: l’aumento provocherà un calo dei consumi dello 0,7%, il che equivarrebbe a un punto e mezzo di Pil. Se invece non aumenterà, il rapporto deficit-Pil balzerà al 3,4%".
La Bernini cita correttamente delle stime del Codacons, in un caso, e una di Banca d’Italia nell’altro. Una delle due stime del Codacons è tuttavia piuttosto lontana da una analoga dell’Istat. Andiamo dunque a vedere i dettagli.
L’aumento dell’Iva previsto
L’aumento dell’Iva è previsto dalla legge di Bilancio per il 2019. Qui si stabilisce che, per garantire l’equilibrio dei conti pubblici italiani tra entrate e uscite, l’Iva ordinaria salga dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021 e l’Iva agevolata dal 10% al 13% nel 2020.
Per “sterilizzare”, come si dice in gergo - cioè evitare - questi aumenti dell’Imposta sul valore aggiunto si devono trovare, tra tagli di spesa o aumenti di entrate, più di 23 miliardi di euro nel 2020 e quasi 29 miliardi nel 2021.
Come abbiamo verificato di recente, nel Documento di economia e finanza (Def) approvato dal Consiglio dei ministri del 9 aprile 2019 c’è scritto che, a legislazione vigente, questo aumento dell’Iva ci sarà.
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, l’ha oltretutto ribadito di recente, scatenando le reazioni dei due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che hanno promesso che tale aumento verrà evitato.
A quanto ammonterebbe la “stangata”
Ma se l’Iva dovesse aumentare, come previsto attualmente dalle norme, quanto peserebbe sulle tasche di chi vive in Italia?
Al momento non si sa con certezza. Esistono delle stime che sono state fatte da associazioni di consumatori o di categoria ma che vanno prese con cautela.
Il dato che cita Anna Maria Bernini, di 1.200 euro, proviene da un’elaborazione del Codacons, associazione di tutela dell’ambiente e dei consumatori. In un comunicato stampa del 13 aprile, in cui vengono forniti una serie di esempi dei possibili rincari con l’aumento dell’Iva, il presidente del Codacons Carlo Rienzi ha affermato che l’aumento dell’Iva "a parità di consumi darà vita ad una stangata che, solo per i costi diretti, il Codacons stima a regime in 1.200 euro annui a famiglia, senza considerare i costi indiretti legati agli aumenti per imprese, industria, energia e trasporti".
Dunque la stima di 1.200 euro è riferita alle famiglie, e non agli individui, ed è riferita al 2021 - quando l’Iva sarà aumentata al 26,5% - e non al 2020. Inoltre presuppone che il livello dei consumi resti invariato.
Una stima meno pessimistica proviene dall’Ufficio studi di Confcommercio, secondo cui l’aumento di spesa - se entreranno in vigore tutte le clausole di salvaguardia previste dalla legge di Bilancio per il 2019 - sarà di 889 euro a famiglia.
Si tratta in ogni caso di stime sul costo “medio” dell’aumento dell’Iva per famiglia, mentre a livello di singolo nucleo varierà moltissimo a seconda di quanto si consuma - e quindi qual è il livello di reddito -, in quale area del Paese si vive, e via dicendo.
Quali conseguenze sui consumi
Sul calo dei consumi, una previsione è stata fornita dall’Istat. Nel corso di un’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il 16 aprile, il presidente dell’Istituto di statistica Gian Carlo Blangiardo aveva sostenuto che "l’incremento dei prezzi [dovuto all’aumento dell’Iva n.d.r.] porterebbe a un effetto depressivo sui consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali".
Il calo dei consumi citato dalla Bernini, -0,7%, invece, di nuovo proviene dalle stime del Codacons.
Il presidente Rienzi, che ritiene "non realistica" la stima dell’Istat, in proposito ha infatti dichiarato il 17 aprile: "il ritocco delle aliquote e delle accise provocherà una contrazione dei consumi del -0,7% e una caduta degli acquisti che raggiungerà quota -27,5 miliardi di euro, con effetti a cascata sul Pil, sull’occupazione e sull’intera economia nazionale".
Il dato di 27,5 miliardi di euro corrisponde all’incirca, come afferma la Bernini, a un punto e mezzo di Pil (che complessivamente ammonta a circa 1.800 miliardi di euro).
Cosa succede se non aumenta?
Vediamo ora cosa succederebbe se si bloccasse l’aumento dell’Iva, senza però reperire altrove le risorse necessarie a sterilizzare la clausola di salvaguardia.
Le stime in questo caso provengono da Banca d’Italia. Il capo del dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia Eugenio Gaiotti, in un’audizione del 16 aprile davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha delineato qual è la situazione.
Secondo il quadro programmatico contenuto nel Def, il rapporto deficit/Pil (o “indebitamento netto”) si ridurrebbe dal 2,4 per cento di quest’anno, al 2,1 nel 2020, all’1,8 nel 2021. Ma, spiega Gaiotti, "questi obiettivi scontano l’attivazione delle clausole di salvaguardia il cui gettito (...) ammonta all’1,3 per cento del Pil nel 2020 e all’1,5 dal 2021 (rispettivamente 23,1 e 28,8 miliardi)".
"Escludendo questo effetto - dice ancora Gaiotti - il disavanzo si collocherebbe meccanicamente al 3,4 per cento del prodotto nel 2020, al 3,3 nel 2021 e al 3,0 nel 2022".
Dunque è vero, come afferma la Bernini, che il rapporto deficit/Pil “balzerebbe” al 3,4% immediatamente, per poi ridursi progressivamente - ma restando sopra alla soglia del 3% - negli anni immediatamente successivi.
Questa, lo sottolineiamo, è comunque solo un’ipotesi astratta. Per non violare i parametri europei ed evitare procedure di infrazione, nonché possibili conseguenze negative sui titoli di Stato, l’Italia non può modificare liberamente verso l’alto il proprio indebitamento netto. Se l’Iva non aumenterà sarà perché, come successo in passato, si sono trovate altrove le risorse necessarie per garantire l’equilibrio dei conti pubblici.
Conclusione
Anna Maria Bernini ha sostanzialmente ragione: se non si riuscisse a scongiurare l’aumento dell’Iva, le ripercussioni economiche per chi vive in Italia sarebbero pesanti.
Quanto possano essere pesanti tuttavia ancora non si sa con certezza.
La stima di 1.200 euro annui citata dalla Bernini proviene da un’elaborazione del Codacons. Secondo Confcommercio la cifra sarebbe invece di poco inferiore ai 900 euro.
La cifra fornita dal Codacons comunque è calcolata ipotizzando che i consumi restino invariati mentre, sempre secondo l’associazione consumatori, dovrebbero contrarsi dello 0,7%. Un dato, questo, ripreso ancora dalla Bernini. Sul punto tuttavia l’Istat è più ottimista e parla di una contrazione dei consumi “solo” dello 0,2%.
Corretto infine il dato sul “balzo” del rapporto deficit/Pil al 3,4%, nel caso in cui venisse impedito l’aumento dell’Iva ma non venissero trovate altrove le risorse per sterilizzare le clausole di salvaguardia, come certifica Bankitalia. Come detto si tratta di un’ipotesi di scuola, visto che le clausole di salvaguardia sono inserite proprio per evitare che vengano compromessi gli equilibri di finanza pubblica.
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