L’ex ministro dei Trasporti Graziano Delrio (Pd), intervistato dalla Stampa lo scorso 18 luglio, ha affermato: “Alitalia nazionale al 51%? Mi pare non sia una novità: era così anche con Etihad, e sono le regole europee che lo impongono”.
Si tratta di un’affermazione sostanzialmente scorretta.
Il contesto
Le parole di Delrio sono un commento a quelle del suo successore al dicastero dei Trasporti, Danilo Toninelli (M5S). Intervistato da Rai News 24 il 18 luglio, Toninelli aveva confermato (min. 13.05) che l’“italianità” era un punto fondamentale nel futuro dell’azienda, nell’opinione del nuovo governo.
Toninelli in particolare aveva poi detto (min. 13.40): “Io penso che riusciremo a salvarla [Alitalia n.d.r.] mantenendola col 51% in capo al Paese Italia”.
Da queste parole non è evidente se Toninelli stia prendendo in considerazione la nazionalizzazione della compagnia aerea o se, più semplicemente, intenda mantenere il controllo di Alitalia (il 51% appunto) in mani italiane, ma in prevalenza private. Diverse fonti di stampa (il Messaggero e la Stampa) ad esempio) danno comunque praticamente per certa l’ipotesi della nazionalizzazione.
La situazione con Etihad
Vediamo il ruolo Etihad, società nominata da Delrio. La compagnia aerea nazionale degli Emirati Arabi Uniti era entrata nel capitale di Alitalia nel 2014, dopo l’ennesimo “salvataggio” della compagnia. Il suo ingresso aveva significato l’acquisto del 49% della società.
Etihad era subentrata a parte di quei “capitani coraggiosi” che avevano acquisito Alitalia dopo la privatizzazione del 2008, voluta dal governo Berlusconi per salvaguardare “l’italianità” della società.
Il 51% restante era invece rimasto in mani italiane. In particolare, secondo dati provenienti dalla visura camerale della società e riportati dalla stampa italiana ad aprile scorso, i principali azionisti sono Intesa Sanpaolo e Banca Unicredit, con circa il 32% a testa (del 51%). Hanno poi quote minori la Popolare di Sondrio, Atlantia, Poste Italiane, Mps, Immsi (Colaninno), Pirelli e altri ancora.
Dunque su questo punto Delrio ha ragione: anche con Etihad, la maggioranza delle quote erano rimaste di proprietà italiana.
Il commissariamento
Dopo il fallimento del referendum tra i dipendenti sul preaccordo di salvataggio di Alitalia, il Consiglio di amministrazione della compagnia aerea ha presentato l’istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria.
Il Ministero dello Sviluppo economico ha subito accolto la richiesta e ha nominato i tre commissari straordinari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari.
Il governo ha stanziato (art. 50 del d.l. 50/2017) un prestito ponte – successivamente rinnovato e incrementato (art. 12 d.l. 148/2017) – per evitare l’interruzione del servizio.
Ad oggi, dopo che il Parlamento ha approvato il d.l. 38/2018 il 30 maggio 2018, il termine per vendere Alitalia (o per liquidarla) dovrebbe scadere il 31 ottobre 2018, e quello per restituire il prestito ponte il 15 dicembre 2018.
La normativa europea
Ma vediamo qual è la normativa europea, se imponga o meno che il 51% di Alitalia debba rimanere nazionale. La risposta, in breve, è no: deve restare europea.
La legge di riferimento è il Regolamento (CE) n. 1008/2008. L’articolo 4 disciplina le condizioni per il rilascio della “licenza di esercizio”, cioè (v. art. 2 sulle “Definizioni”) “un’abilitazione (…) che consente di operare servizi aerei”. Le compagnie stabilite nell’Unione europea devono necessariamente ottenere tale licenza (v. art. 3) per poter volare.
Tra le varie condizioni, lo stesso articolo 4 prescrive che “gli Stati membri e/o i cittadini degli Stati membri detengano oltre il 50 % dell’impresa e la controllino di fatto, direttamente o indirettamente, attraverso una o più imprese intermedie”, salvo specifici accordi con Paesi terzi siglati dalla Ue.
Dunque è vero che le regole europee impongano di mantenere “oltre il 50%” (non necessariamente il 51%) dell’impresa nelle mani degli Stati membri o di privati cittadini degli Stati membri, per poter operare nell’Unione.
Ma gli Stati membri sono 28 (27 se non contiamo il Regno Unito che dovrebbe uscire dalla Ue nel 2019) e l’Italia è solo uno di questi. Non è vero quindi che in base alle regole europee il 50%+1 di Alitalia debba rimanere italiana. È sufficiente che tale quota rimanga in capo a Stati o a privati cittadini dell’Unione europea.
Ad esempio la tedesca Lufthansa, che nel 2017 aveva manifestato interesse (a certe condizioni), potrebbe acquistare il 51% del capitale di Alitalia senza violare la normativa europea.
La Commissione europea sta preparando un pacchetto di proposte per cambiare le regole sul trasporto aereo ma, per quanto riguarda le regole sulla proprietà e sul controllo dei vettori europei, non è ancora stata presa nessuna decisione innovativa.
Conclusione
Delrio ha ragione nel dire che già ai tempi dell’ingresso nel capitale Alitalia di Etihad il 51% era rimasto in mani italiane. Ma non è vero che questo dipenda da regole europee: queste impongono che il 50%+1 e il controllo rimangano in mano a Stati o privati dell’Unione europea. Non impongono invece una proprietà e un controllo nazionali.
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