Il gruppo di Forza Italia alla Camera ha risposto con un comunicato al nostro fact checking di ieri su Brunetta e il regolamento di Dublino. Citando la parlamentare FI e presidente del Comitato Schengen, Laura Ravetto, il comunicato tra le altre cose afferma: “"L'Italia si ritrova obbligata a raccogliere e valutare le domande di asilo di chi arriva dal mare solo perché il governo italiano ha deciso che il nostro Centro marittimo di coordinamento fosse responsabile per tutto il Mediterraneo centrale e destinatario di tutte le chiamate di emergenza”.
E ancora: “Il punto è che la chiusura dei partner europei rispetto alla condivisione degli sbarchi non dipende dal regolamento di Dublino, come sostiene Renzi, ma dalle condizioni che il suo governo ha accettato (nel 2014-2015) aderendo alle missioni europee Triton e Sophia. Sono operazioni che esplicitamente derogano a un principio di diritto internazionale secondo il quale se un migrante sale su una nave battente bandiera di uno Stato straniero, quello Stato è da considerarsi il suo primo approdo, dunque è lì che deve far richiesta di asilo. Questo principio è fissato da tre convenzioni internazionali: Sar, Unclos e Solas”.
Come abbiamo specificato nell’analisi di ieri, non è corretto dire che le domande di asilo vengano valutate dall’Italia a causa della presenza nel nostro Paese del Centro marittimo di coordinamento, decisa con le operazioni Triton e Sophia. Queste due operazioni stabiliscono, per la parte che qui rileva, che vengano sbarcate in Italia le persone salvate nelle aree operative di queste missioni (il cui scopo principale non è comunque il soccorso ma il contrasto alle attività criminali nel Canale di Sicilia). In effetti tali aree coprono, oltre quella di competenza italiana, anche gran parte di quella maltese, come specificato nella nostra analisi. Le operazioni di per sè non ricoprono competenze specifiche per quanto riguarda la determinazione delle modalità di richiesta d’asilo.
Le richieste di asilo vengono infatti valutate dall’Italia non in base agli accordi che sono alla base di Triton o di Sophia, ma in base alle convenzioni internazionali, alla giurisprudenza internazionale e al regolamento di Dublino. Quest’ultimo stabilisce (art. 13) che ““Quando è accertato […] che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”.
Il “principio di diritto internazionale secondo il quale se un migrante sale su una nave battente bandiera di uno Stato straniero, quello Stato è da considerarsi il suo primo approdo, dunque è lì che deve far richiesta di asilo” citato da Forza Italia, non è in realtà cosi chiaramente stabilito, come spiega l’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati. Esiste, in base alle convenzioni citate (Sar, Unclos e Solas), il principio secondo cui le navi battenti bandiera di uno Stato si considerano un’estensione del territorio dello Stato stesso, e sono sottoposte alla sua giurisdizione. Tuttavia la giurisprudenza internazionale, peraltro in un caso che ha riguardato direttamente l’Italia (condannata nel 2012 a causa della politica dei respingimenti in mare voluta dall’ultimo governo Berlusconi), ha chiarito i limiti di questo principio.
Come affermato dal Contrammiraglio Nicola Carlone in un’audizione alla Camera presieduta dalla stessa Ravetto, “Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi. Il caso Hirsi lo dimostra. Unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d'ingresso per l'applicazione della Convenzione di Dublino”.
Come si nota, il termine “frontiera” è esplicitato anche dal regolamento di Dublino. Tale regolamento, inoltre, fissa una serie di altri criteri per attribuire la competenza a questo o quello Stato di valutare la richiesta di asilo: ad esempio la presenza di un familiare – regolare o richiedente asilo - nel territorio di uno Stato (artt. 9-10), o l’essere destinatario di un titolo di soggiorno rilasciato dallo Stato (art. 12). In questi due casi ad esempio la competenza potrebbe variare rispetto al criterio dello Stato di primo approdo.
È quindi evidente che tali procedure, senza contare quelle di identificazione e quelle ancor più complesse legate ai minori (art. 8), che godono di una particolare tutela, non possano essere espletate su navi (magari cargo, magari di passaggio, non solo delle ong insomma) che hanno materialmente operato i salvataggi in mare.
La giurisprudenza è per sua natura in costante evoluzione e non si può escludere che, a fronte di uno specifico ricorso dell’Italia, la situazione possa cambiare. Tuttavia al momento, anche in base a quanto sostenuto dagli esperti, sembra che sia proprio l’applicazione dei criteri contenuti nel regolamento di Dublino a imporre all’Italia l’onere di processare le domande di asilo dei migranti che vengono sbarcati nei suoi porti.
Tali sbarchi sono solo in parte imputabili a Triton e Sophia – specie per quanto riguarda il farsi carico di quei migranti che spetterebbero a Malta – in quanto è il diritto del Mare che impone di portare i migranti nel “porto sicuro” più vicino. E vista la situazione geopolitica in Nord Africa, i porti sicuri più vicini alla Libia sono quasi tutti in Italia. In conclusione, come spiegato nella nostra analisi, non è del tutto corretto attribuire l’attuale situazione di crisi in maniera esclusiva ad una scelta di governo senza prendere atto della complicata e a tratti incerta giurisprudenza che regola queste dinamiche. Di certo ciascuna di queste decisioni influenza l’attuale situazione ma allo stesso tempo poggia su una vasta serie di principi di diritto internazionale ed europeo già in essere, come spiegato qui e nella nostra precedente analisi.