Chernobyl prova a ripartire da una vodka, che di atomico - per fortuna - ha solo il nome. Trentatré anni dopo il disastro nucleare della centrale di Pripyat - il più grave della storia - un team di ricercatori ha prodotto una vodka con acqua e cereali proveniente dalla zona di alienazione. È il primo genere di consumo mai realizzato dall’incidente del 26 aprile 1986 che portò alla massiccia contaminazione delle falde acquifere, dei terreni e dell’aria intorno alla centrale. Gli abitanti furono fatti evacuare e l’area compresa entro i 30 km dal luogo dell’incidente è tuttora abbandonata.
Ma gli scienziati, che da anni studiano il modo in cui la Natura sta reagendo alla contaminazione, vogliono dare una sterzata: il loro scopo è utilizzare i proventi della vendita della vodka artigianale per aiutare le comunità ucraine ancora in ginocchio a causa dei danni economici della tragedia. Per ora esiste una sola bottiglia di Atomik, ma gli esperti auspicano di produrne 500 entro la fine dell’anno e di venderle ai turisti che visitano la zona di alienazione. L’accesso all’area è strettamente regolato, è vietato viverci o svolgere attività commerciali, ma un’eccezione riguarda i frequenti tour turistici organizzati da vari operatori, di un giorno o più giorni.
Ma è davvero sicuro bere la ‘vodka di Chernobyl’? “L’Atomik non è più radioattiva di altre vodke”, ha spiegato alla BBC Jim Smith, professore dell'Università di Portsmouth, nel Regno Unito. “Qualsiasi chimico vi potrà dire che quando si distilla qualcosa, le impurità rimangono nel prodotto di scarto”. Nel caso dell’Atomik, “abbiamo preso la segale leggermente contaminata e l'acqua dalla falda acquifera di Chernobyl e l'abbiamo distillata.
Poi abbiamo chiesto ai nostri amici della Southampton University, che hanno un fantastico laboratorio radio-analitico, di cercare tracce di radioattività. Non sono riusciti a trovare nulla: tutto era al di sotto del loro limite di rilevamento”. “Non dobbiamo per forza abbandonare l’area”, ha commentato Gennady Laptev, scienziato dell’Ukrainian Hydrometeorological Institute di Kiev e membro fondatore della neonata Chernobyl Spirit Company. “Possiamo utilizzare questi terreni per produrre qualcosa di pulito e del tutto privo di radioattività”.
Il progetto punta soprattutto ad aiutare le comunità locali. Smith, infatti, afferma di essere stato colpito da come la vita per le persone sia rimasta ostinatamente difficile, mentre la Natura si è lentamente ripresa”. "Esistono hotspot di radiazioni [nella zona di esclusione] ma in gran parte dell’area la contaminazione è inferiore a quella che si potrebbe trovare in altre parti del mondo con un fondo di radioattività naturale relativamente elevato", afferma il professore. "Il problema per la maggior parte delle persone che vivono lì è che non seguono una dieta adeguata, non hanno accesso a buoni servizi sanitari, non ci sono posti di lavoro e nessuno investe”.
Ecco perché i ricavi della vendita dell’Atomik, spiega ancora Smith, verranno perlopiù “distribuiti alle comunità locali. Il resto verrà reinvestito nel business, magari fornendo uno stipendio ai membri del team per lavorare part time al progetto”. Perché oggi, assicura Smith, "dopo 30 anni, la cosa più importante è lo sviluppo economico dell’area, non la radioattività”. E a riavviare la macchina economica potrebbe essere proprio la vodka Atomik che per ora ha ricevuto il plauso Sam Armeye, dello Bar Swift di Soho, a Londra: “Ha note fruttate. Sicuramente la utilizzerei per un classico Martini, cui aggiungerei anche dello champagne”.