Nell'agosto 2014 i miliziani dello Stato islamico lanciarono in Iraq una sanguinosa campagna genocida contro gli Yazidi, un gruppo confessionale minoritario, di etnia curda, che abitava nella regione settentrionale del Sinjar. Secondo l'Onu, circa 5000 yazidi sono stati uccisi con l'arrivo degli jihadisti, con i loro corpi ammassati in fosse comuni, altri 6000 circa sarebbero stati venduti come schiavi (soprattutto donne e bambini) e altri 50.000 sarebbero fuggiti per evitare morte sicura.
"Non so se cercare mio fratello da vivo o da morto", confida Tahsin, yazida che oggi vive in un campo profughi informale nei pressi di Dohuk, a Middle east eye. Perché i pochi yazidi sopravvissuti, oggi, vivono anche una seconda tragedia: quella di non poter disseppellire, identificare e quindi piangere i loro morti. "Non sappiamo cosa fare, se cercarlo in una fossa comune oppure cercare di capire se è ancora vivo", aggiunge. Il governo iracheno ancora non ha concesso l'autorizzazione per dissotterrare le fosse comuni, cosi' da poter riesumare e identificare i corpi.
La congiuntura politica nel Kurdistan iracheno ha complicato la loro situazione: dopo il fallito referendum per l'indipendenza curda del settembre 2017, l'Esercito iracheno ad ottobre dello stesso anno ha sottratto la città di Sinjar dal controllo delle truppe curde, che l'avevano occupata in seguito alla cacciata dell'Isis. Così, gli Yazidi hanno dovuto subire quella che sembra una "separazione", anche geografica, dai loro cari estinti: i campi profughi informali in cui abitano i sopravvissuti si trovano infatti nel Kurdistan, amministrato dalle autorità del Governo regionale curdo.
Le fosse comuni in cui giacciono i corpi dei loro familiari, invece, si trovano in aree controllate dalle truppe di Baghdad. "Non so dove sia la mia famiglia ormai da 4 anni, e mi fanno andare dall'altra parte per cercare almeno di capire se sono vivi o no", confida un profugo yazida che vive a Dohuk.
Secondo Lena Larsson, a capo del programma iracheno della Commissione internazionale sulle persone scomparse (ICMP), il principale problema è allo stesso tempo la mancanza di cooperazione tra i due governi e l'assenza di un meccanismo centralizzato che si occupi del destino delle persone scomparse durante la guerra. Quello dei desaparecidos è un problema con cui l'Iraq fa i conti da ben prima della comparsa dell'Isis. Secondo le stime dell'ICMP sarebbero circa un milione le persone scomparse in tutto il Paese, una cifra nella quale rientrano molti cittadini di cui non si ha notizia dai tempi del regime di Saddam Hussein.
Eppure, una legge che regolasse la questione - in particolare quella della gestione delle fosse comuni e del dissotterramento dei corpi - era stata approvata dal Parlamento iracheno già nel 2006. Tuttavia anche in quel caso, le tensioni politico istituzionali avevano sabotato l'efficacia della legge: essa richiedeva infatti l'istituzione di un comitato, a cui capo si sarebbe dovuto nominare un giudice responsabile del ritrovamento di fosse comuni. Sul nome di quel giudice nella delicata area di Sinjar, Baghdad ed Erbil non hanno trovato un accordo fino al 2016, quando il Consiglio giudiziario supremo dell'Iraq ha nominato Ayman Mostafa, già capo dell'Agenzia investigativa del Governo curdo.
Finora, però, questa nomina ha prodotto immobilismo: nessuna delle 68 fosse comuni denunciate nell'area di Sinjar è stata dissotterrata. Il giudice Mostafa accusa Baghdad per "il tentativo di marginalizzare gli sforzi del governo curdo riguardo le fosse comuni", visto che al team di investigatori messo in piedi da quest'ultimo viene impedito l'accesso a Sinjar dalle truppe irachene che controllano l'area dallo scorso ottobre.
La pensa diversamente Dheyaa Kareem, a capo del dipartimento del governo centrale iracheno che si occupa di fosse comuni, il quale nega che Baghdad faccia ostruzionismo. "Sono sicuro che queste accuse (da parte del governo curdo, ndr) persisteranno, perché hanno una dimensione politica", riferisce a MEE. Kareem attribuisce l'immobilismo delle istituzioni alla mancanza di fondi, che a favore del suo dipartimento non vengono erogati in misura rilevante dal 2015.
Secondo il giudice Ayman Mostafa, le fosse comuni nell'area di Sinjar non sono sufficientemente protette, il che le espone a razzie o al deterioramento per via delle condizioni atmosferiche. Gli esperti sostengono che tutto ciò potrebbe compromettere in futuro la riesumazione e l'identificazione dei corpi. E, di riflesso, una precisa documentazione dei crimini commessi dall'Isis, visto che ad oggi gran parte dei processi nei confronti di ex miliziani dello Stato islamico si basa sulle loro confessioni, e molto raramente su prove documentate. I giudici iracheni fino ad oggi hanno emesso migliaia di condanne per terrorismo ai danni di questi ultimi, ma secondo il ricercatore di Human Rights Watch Belkis Wille nessuna di esse è stata comminata per crimini commessi ai danni degli Yazidi. Secondo la ong Yazda, sono circa 3000 gli Yazidi che risultano scomparsi dalla sconfitta dell'Isis in Iraq.