Intorno alla testa il fazzoletto a fiori diventato il simbolo della lotta delle donne del Rojava, intorno agli occhi le ciglia lunghissime, a incorniciare uno sguardo che illumina. Yalda Abbasi, 31 anni, è una cantante curda-iraniana che vive in Italia, a Milano. Fin da quando era poco più che un’adolescente ha portato le antiche epopee d’amore in musica della sua etnia in tutto il mondo, recuperando un tradizionale strumento curdo a corde, il dotar, e imparando dagli anziani le “parole d’amore” dei vecchi brani. Una passione che però le ha causato molti problemi. Tanto più in in questo periodo di tensione tra Usa e Paese degli Ayatollah: molti iraniani che si sono traferiti in Occidente, soprattutto se fanno parte di minoranze, vivono momenti di preoccupazione.
Parlando con l’AGI, Yalda, racconta delle tante, troppe domande dei tribunali iraniani sulla sua musica e delle carceri turche, nelle quali è finita solo per aver devoluto i proventi di un suo concerto ai bambini di Afrin, nel Kurdistan turco. “In Iran non è possibile per una donna cantare da sola in pubblico, né incidere un disco in cui non ci sia anche una voce maschile di accompagnamento. Ero molto giovane quando, quasi ingenuamente, ho imparato a suonare e cantare dagli anziani del Khorasan, la mia zona di origine nel nord est dell’Iran, e ho deciso di caricare dei video sui social”. Un gesto quasi banale per un ragazzo occidentale con questa passione, ma non per una donna in quella che fu la Persia degli Scià :”Sono stata convocata in tribunale e il processo è durato 8 mesi: si è concluso con una multa e il divieto di uscire dai confini dello Stato per due anni”. Per il solo aver registrato un video dalla sua camera, per l’essere diventata immediatamente famosa per il suo enorme talento e la sua voce.
Yalda però non si è fermata e sono stati proprio i social a fare la sua fortuna: oggi infatti ha oltre 200 mila follower e la ‘spunta blu’ di Instagram che viene data soltanto alle persone davvero famose: “I curdi di tutto il mondo hanno cominciato ad ascoltarmi, anche se io all’inizio suonavo e cantavo solo ad orecchio, e così è iniziata la mia carriera. Ora vivo della mia musica: nell’ultimo concerto che ho realizzato a Berlino c’erano 15 mila persone”. E poi Belgio, Svizzera, Canada, Francia, tutti i Paesi dove le comunità curdo-iraniane, molte delle quali formatesi in seguito alla diaspora e a molte guerre, si sono stabilite.
Una carriera che però non è ben vista dalle autorità di Teheran: ogni volta che torna trovare la sua famiglia, la giovane artista rischia di vedere il suo passaporto trattenuto. Ma soprattutto ad ogni ritorno in Patria è costretta a dover giustificare al tribunale tutti i suoi spostamenti: “Devo spiegare che i miei canti non sono politici. Che parlano d’amore e che non sponsorizzano alcuna organizzazione”.
Il problema è più profondo: “Mi contestano che il dialetto della mia regione ho fatto conoscere al mondo il fatto che i curdi vivono anche nel nord dell’Iran, oltre che in Siria, in Turchia e in Iraq. Le autorità di Teheran credono che questo in qualche modo rafforzi il sentimento patriottico. Il mio canto mi dà da vivere: è un lavoro, e non ha niente a che fare con la politica. Certo voglio che i miei concerti abbiano anche un fine benefico: sono ambasciatrice del Maaf, un’associazione che cura i bambini mutilati di Afrin, nel Rojava curdo siriano”.
A causa di questo impegno ha passato, non più di due anni fa, una notte nelle carceri turche ed è stata costretta a pagarsi un avvocato per farsi liberare. Se le viene chiesto che cosa la spinge a sopportare tutto questo pur di cantare, risponde: “Questo era il sogno di mia madre. Lei da giovane era una cantante bravissima, prima che l’Iran cambiasse e diventasse quello che è oggi. Poi ha dovuto abbandonare il suo sogno, ma continua a seguirlo con me. Quando torno nel mio Paese ci esibiamo ancora insieme”. Naturalmente sempre accompagnate da una voce maschile.
A Milano e in Italia, Yalda Abbasi ha trovato una casa: studia canto Barocco al Conservatorio, dopo che con la sua voce, il suo liuto tradizionale, e i suoi suoni così diversi dall’armonia occidentale, ha stregato la commissione giudicatrice: “Avevo provato a studiare canto barocco tradizionale ma l’esame non andò bene, fino a quando non chiesi di esibirmi con il dotar. I professori decisero che avrebbero voluto avermi con loro”.