È stata per 34 anni la moglie di Nelson Mandela, e al suo fianco ha combattuto contro l’apartheid, ma la reputazione di “madre del Sudafrica” Winnie Madikizela Mandela, morta lunedì a 81 anni, è per alcuni versi controversa. Sotto diversi punti di vista.
A iniziare dalla lotta per la causa condivisa (poco) con Mandela: lui per la Rainbow Nation, la necessità di perdonare e dimenticare la mostruosa ingiustizia dell’apartheid per costruire il nuovo Sudafrica; lei per una lotta che non avrebbe dovuto avere mai finire. Una differenza che macchierà la sua fedina penale e il suo nome. Negli anni ’80, quando la comunità internazionale si accorge di lei e delle sue battaglie lei pronuncia discorsi come quello di Munsieville del 13 aprile 1986, nel corso del quale supporta la pratica del necklacing (bruciare vive le persone con copertoni e benzina) affermando che: "con le nostre scatole di fiammiferi e le nostre collane libereremo questo Paese". E’ il primo passo falso.
Nel 1986 la sua guardia del corpo - e allenatore del MUFC, il Mandela United Football Club - Jerry Musivuzi Richardson viene accusata di aver rapito quattro giovani dall'abitazione di un pastore metodista conducendoli in casa Mandela e obbligandoli, a forza di botte, ad ammettere di essere stati abusati sessualmente dal religioso. Uno dei quattro giovani, il quattordicenne James Seipei, viene accusato anche di essere una spia. Il suo corpo senza vita viene ritrovato in campagna, è il 6 gennaio dell'89. Winnie viene processata e condannata per rapimento, una condanna a sei anni di prigione ridotta a multa in ultimo grado di giudizio. Nel 1991 Madikizela-Mandela fu assolta da tutte le imputazioni eccetto il rapimento.
Nel 1992 viene accusata di aver commissionato l'omicidio di un amico di famiglia, Abu-Baker Asvat, il medico che aveva visitato il quattordicenne Saipei in casa Mandela prima che venisse ucciso. Secondo la "Commissione per la verità e la riconciliazione", Winnie avrebbe pagato l'equivalente di 8.000 dollari e fornito le armi per l'omicidio che sarebbe stato commesso alla fine di gennaio del 1989.
Nel 1994, dopo le prime elezioni democratiche, viene eletta deputato e viceministro delle Arti e della Cultura. Viene espulsa l’anno successivo a causa dei suoi toni incendiari e dei suoi appelli ai giovani radicali di colore, ricorda la Cnn. Viene rieletta nel 1999 ma 4 anni dopo è di nuovo costretta a dimettersi per le accuse di frode. Nel 2003 l’ex moglie di Madiba viene giudicata colpevole di 43 capi di imputazione per frode e 25 per furto per un totale di un milione di rand (circa 80mila euro), relativi a una tentata truffa ai danni di una banca sudafricana. Viene condannata a 5 anni di carcere duro, ma la pena è ridotta a tre anni e mezzo con la condizionale.
"La mia vita con lui è stata una vita senza di lui", dirà riferendosi a Mandela. Sposati dal 1958, i due si separeranno nel 1992, due anni dopo la liberazione di Madiba. Dei 38 anni di matrimonio, lui ne ha passati 27 in carcere. Lei a lottare alla sua maniera. “Io sono sempre stata sposata all’Anc (l’African national congress, il partito di Mandela). È stato il miglior matrimonio che abbia avuto” pare dicesse. Nelle sue memorie ha scritto: “Non abbiamo mai fatto veramente una vita di famiglia. La lotta contro l’apartheid veniva prima”. Quanto all’influenza del marito, lei stessa diceva di non essere “un prodotto di Mandela”, ma “ delle masse del mio Paese e il prodotto del mio nemico”.
Per molti anni a capo dell'African National Congress Women's League e membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell'African National Congress, al di là degli scandali cui è stata legata Winnie Madikizela Mandela resta una delle più importanti figure politiche del Sudafrica che oggi piange la sua “madre”.