Si dice assolutamente contraria all’ipotesi di “scomputare” dal calcolo del deficit gli investimenti verdi la nuova presidente della Commissione europea, così come stanno discutendo i ministri delle Finanze nell’ambito del Patto di Stabilità. In un’ampia intervista rilasciata in settimana a un gruppo di giornali europei, tra cui Il Sole 24 Ore, Ursula von der Leyen afferma infatti che “no” non è favorevole a questa ipotesi, perché “temo – sostiene – che vi sarebbero troppe tentazioni per fare del green washing”, ovvero – letteralmente – un ambientalismo di facciata.
Secondo la presidente della Commissione Ue, “la strategia di crescita “dell’Unione “si basa sul Green New Deal” e “se lo facciamo bene, investiremo massicciamente in scienza e ricerca, nelle nuove tecnologie”, Anzi, “se lo facciamo bene – insiste – scopriremo che vi sono grandi benefici nel finanziamento verde”. Perciò, aggiunge, dobbiamo essere molto coerenti nel mettere a punto concretamente misure e tecnologie di riduzione del Co2, ma credo che sia un obiettivo raggiungibile all’interno del Patto di Stabilità e di Crescita” in quanto “vi è una interdipendenza tra finanze pubbliche in ordine e sufficiente margine di manovra nel Patto a favore degli investimenti”.
"L'Europa può fare la differenza"
Nell’ampia intervista in cui von der Leyen sostiene anche che la vera scommessa della nuova linea europea “sarà di mostrare alle pubbliche opinioni che possiamo mettere in pratica le nostre promesse, che l’Europa può fare la differenza, e che insieme i 28 stati membri possono realizzare molto più di quanto non riescano da soli”, la presidente della Commissione affronta anche il caso della Cina che si presenta come “una sfida quotidiana” verso la quale – dice – “dobbiamo trovare il giusto equilibrio sulle questioni in cui abbiamo posizioni molto diverse, come sulla sicurezza cibernetica o sulla protezione dei dati degli individui e delle società”. E non solo: “Poi dobbiamo trovare interessi comuni sui quali possiamo lavorare in modo costruttivo, come per esempio sul fronte climatico, e in altre parole, “oltre ai temi che dobbiamo affrontare, come i diritti umani o il mondo digitale, dobbiamo trovare campi su cui lavorare insieme” dichiara von der Leyen.
E alla domanda specifica su come l’Unione si comporterà nei confronti della minaccia rappresentata da Huawei, la presidente risponde che la Commissione europea “ha raccolto i punti di vista di tutti i paesi membri ed entro la fine dell’anno svilupperemo un approccio comune sugli standard di sicurezza che dovranno essere garantiti in occasione di investimenti stranieri, in generale e al di là del caso Huawei”.
"Con Trump questioni aperte ma siamo dalla stessa parte"
In un passaggio dell’intervista, von der Leyen affronta anche il “caso Trump” a fronte di un ordine mondiale che appare alquanto scombussolato in cui il capo della Casa Bioanca è anche fonte di incertezze e sorprese. Così alla domanda su come pensa di interagire con la Casa Bianca e con gli Stati Uniti, von der Leyen rsponde che prima di tutto “dobbiamo tenere a mente la profonda amicizia e i forti legami transatlantici che legano Stati Uniti e Unione europea, basati su tantissimi progetti, attività economiche, scambi universitari che abbiamo in comune”, ma ciò detto “è un fatto che vi sono questioni aperte con il governo americano, ma non ci dimenticheremo mai da che parte del tavolo siamo, ossia la stessa parte”.
Tant’è che “l’ombrello della sicurezza americana dopo la Seconda guerra mondiale ci ha permesso di sviluppare una economia forte e di successo” ma ora “è arrivato il momento per noi in quanto Unione europea di rafforzarci”. In che modo? “Credo che sia possibile trovare il nostro metodo europeo tra partner che si confrontano allo stesso livello” risponde von der Leyen.
Un passaggio la presidente Ue lo dedica anche alla Nato, la quale “sarà sempre una alleanza di difesa collettiva basata sull’articolo 5 del Trattato”, tuttavia – aggiunge – “vi sono campi nei quali non vedo spazio per la Nato, bensì per l’Unione europea per via dell’ampio spettro di strumenti che questa ha a sua disposizione, nel settore dello sviluppo o in termini diplomatici”. Infatti, “dal 2015 abbiamo iniziato a sviluppare una unione europea della difesa – spiega –, aumentando l’interoperabilità tra le forze militari dei paesi membri”. E “siamo profondamente convinti che la sicurezza militare non sia sostenibile da sola se non è accompagnata da una diplomazia forte e da investimenti nello sviluppo, e viceversa” conclude.