“Violenza chiama violenza”: più sarà dura la repressione poliziesca delle manifestazoni popolari più gli scontri a Hong Kong registreranno una escalation, con disordini che proseguiranno finché il governo locale si manterrà arroccato sulle sue posizioni. L’opzione peggiore è l’intervento militare di Pechino, “ma dipenderà da un’analisi tra costi e benefici che la Repubblica Popolare Cinese sta ancora soppesando”. È questa l’opinione di Jason Y. Ng, coordinatore del Progressive Lawyers Group (il Gruppo pro-democratico dei giuristi progressisti), noto scrittore già presidente del locale Pen Club, insignito nel 2013 e 2014 con l’Harvard Book Award a Hong Kong.
“La protesta era cominciata a giugno contro l’extradition bill, ma la polizia ha reagito con la mano pesante e questa sua stessa violenza ha ampliato l’obiettivo delle proteste”, spiega Jason Y. Ng all’AGI. “Proprio lo scorso fine settimana, una ragazza colpita da un proiettile a cuscinetto ha perso un occhio. Perciò adesso tutta la rabbia si rivolge contro le forze dell’ordine e i manifestanti stanno chiedendo non soltanto l’istituzione di una commissione indipendente per indagare sugli abusi della polizia, ma anche che siano incriminati gli agenti responsabili di avere provocato lesioni gravi”.
Le manifestazioni di queste settimane hanno rivelato la grande distanza tra il governo e la popolazione. Possibile che il chief executive, Carrie Lam, non faccia passi per colmarla? Il semplice congelamento dell’extradition bill era chiaramente insufficiente.
“Il governo di Hong Kong guidato da Carrie Lam sta provando a rivolgersi ai manifestanti facendo leva sui dati economici, cioè quanto e come le proteste prolungate abbiano prodotto un impatto devastante sul turismo di Hong Kong e sul commercio al dettaglio. Ma quello che i burocrati non comprendono, e probabilmente non capiranno mai, è che questi argomenti non significano assolutamente nulla per i manifestanti, perché il turismo e il commercio tendono a beneficiare solamente alcune élite degli affari. Il grosso della ricchezza a Hong Kong è concentrato ai vertici e il suo effetto di allargamento a ‘trickle-down’ è troppo limitato e troppo lento. La maggioranza della popolazione semplicemente non assapora il frutto della prosperità. Perciò non bisogna aspettarsi che i manifestanti desistano solo poiché Carrie Lam dice che il nostro pil è calato del qualsivoglia per cento”.
La situazione, dopo gli ultimi scontri all’aeroporto internazionale, e i ripetuti minacciosi avvertimenti di Pechino è destinata a peggiorare?
“Gli scontri fra manifestanti e polizia prevedibilmente registreranno una escalation e si diffonderanno in tutti gli angoli della città. Più forza la polizia dispiega (ed è prevedibile che i cannoni ad acqua saranno impiegati per la prima volta questa settimana), più i manifestanti risponderanno duramente. Violenza chiama violenza. L’escalation continuerà finché il governo guidato da Carrie Lam non farà alcune significative concessioni. E se ciò al momento attuale sembra improbabile, è presumibile che le proteste proseguiranno fino all’inverno”.
Non si prospetta un finale positivo. Si profila per Pechino l’ipotesi della repressione militare. Quanto secondo lei è probabile?
“Sarà frutto di un’analisi tra costi e benefici che a Pechino stanno ancora soppesando, per cui non possiamo prevedere. Certo la Cina giustificherebbe l’intervento armato con l’eccezionalità del caso specifico e con la sua interpretazione della Basic Law di Hong Kong. Ma è una opzione che, ovviamente, distruggerebbe il principio ‘One Country Two system. La valutazione è se convenga”.
E ipotizzando una conclusione più ottimistica?
“Sì, tutta questa tensione e queste violenze potrebbero avere una conclusione positiva, perché il dibattito pubblico si è spostato dal tema circoscritto dell’estradizione alla questione ben più vasta e fondamentale del suffragio universale. Sempre più gente a Hong Kong sta realizzando che la mancanza di suffragio universale è il motivo basilare per cui siamo amministrati da un governo inaffidabile. Ogni problema politico che ci troviamo di fronte, dall’impopolare disegno di legge sull’estradizione all’impennata dei prezzi immobiliari, è causato in fin dei conti dalla mancanza di un libero voto democratico. Tutto deriva dal semplice fatto che la popolazione di Hong Kong non ha un governo che rappresenti davvero i suoi interessi”.
Il tema del suffragio sembrava sopito e parzialmente represso con la fine della “Rivoluzione degli Ombrelli”.
“Il dibattito politico sul suffragio universale si chiuse con il Movimento degli Ombrelli nel 2014. E le proteste di quest’estate sono la nostra migliore speranza di riaprire quella discussione. Però c’è una cosa che ho detto in passato e ripeterò ancora: i manifestanti di Hong Kong hanno bisogno di tutto il sostegno possibile soprattutto dalla comunità internazionale. E’ cruciale che la gente di altri Paesi, inclusi naturalmente gli italiani, spendano almeno qualche minuto per comprendere cosa sta accadendo a Hong Kong e che facciano sentire il loro sostegno morale alla nostra città. Ci sono molti Italiani che vivono e lavorano a Hong Kong - conclude Jason Y. Ng – e molti di più sono quelli che ci vengono per lavoro o per vacanza. Abbiamo bisogno che condividano i nostri post e che sollecitino il Consolato italiano affinché eserciti una pressione sul governo di Hong Kong”.