I sondaggi danno un esito certo e scontato: vincerà ancora lui, Viktor Orban, il premier più controverso d’Europa, che con le sue giravolte politiche e generazionali si appresta ad ottenere il quarto mandato alla guida dell’Ungheria. Eccoli: 52 percento a Fidesz, il suo “Partito ella Gioventù democratica” che lui guida anche se non è più tanto giovane e secondo qualcuno nemmeno troppo democratico. Gli altri seguono di gran lunga staccati. La seconda forza, anche questa non esattamente progressista, è Jobbik, e si trascina al 15 percento perdendo due punti dall’inizio di marzo. La terza i socialisti dell’Mszp, anche loro in calo al 10 percento. Poi, nell’ordine, liberali di sinistra, liberali-verdi, liberali-conservatori, Dialogo che si è alleato con i socialisti, il Partito del cane a due code (proprio così): tutti tra l’8 e l’1 percento.
Con un’opposizione così, vincere non è un problema, scrive anche la Frankfurter Allgemeine in questi giorni. Solamente l’area liberale è spaccata in quattro; i cristiano-democratici si sono direttamente alleati con Fidesz, presentando liste comuni in cambio dell’elezione quasi certa di un manipolo di deputati; lo stesso Jobbik viene dal filone della destra nazionale, e da solo non sembra poter impensierire la compagine di governo. Che si è andata indebolendo nelle grandi città, ma è cresciuta nelle campagne, dove il problema dei migranti è più sentito (anche se non necessariamente più presente) come anche quello, delicatissimo, dei fondi europei per l’agricoltura.
L’elettorato di riferimento è contento di lui. La Russia, grazie al suo rapporto privilegiato con Putin, non è più percepita come nel ’56, cioè un pericolo alla stessa esistenza della nazione magiara. Anzi, gli antagonisti ora sono altrove: a Bruxelles, con la sua burocrazia fredda e distante che pare essere lì per imporre quote di accoglienze non gradite e limiti di spesa altrettanto odiosi. Orban piace anche all’estero: in Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, i tre partner europei del Gruppo di Visegrad che ci hanno messo poco per passare da terre di emigrazione a paesi di chiusura ai migranti degli altri. Piace anche in Francia e Italia, a Marine Le Pen e Matteo Salvini, come anche ai sovranisti di Grecia ed Austria. Lui chiama a raccolta amici ed ammiratori interni ed esterni, promettendo che ora vincerà le elezioni e poi passerà a vedersela con i nemici. Anche se non è troppo chiaro su chi questi ultimi siano.
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Solo una cosa può disturbare il suo ritorno trionfale ai vertici dell’esecutivo. Si chiama Legge Elettorale, e sulla carta dovrebbe essere la migliore arma nelle sue mani, perché per almeno due volte gli ha dato la maggioranza assoluta. Ma gli ultimi rilevamenti demoscopici hanno evidenziato un fatto: l’affluenza alle urne dovrebbe crescere, quest’anno, e allora a beneficiarne dovrebbero essere le opposizioni. Che, per l’appunto, sono talmente divise e staccate nei sondaggi da non dover preoccupare più di tanto. Ma la legge elettorale in Ungheria è infida: somiglia tanto ad un Mattarellum italiano rafforzato: questo prevedeva, venticinque ani fa, l’assegnazione di un quarto dei seggi con il criterio proporzionale, ed il resto con il maggioritario. La regola ungherese invece dice: 40 percento con il proporzionale, e solo il 60 con la formula “il primo arrivato vince”. Ragion per cui il pur eccellente 52 percento su scala nazionale può non bastare ad avere la maggioranza in Parlamento.
Tutto sta alla distribuzione del voto nei singoli collegi. Ed allora Orban l’uomo abituato a decidere da solo, l’uomo solito avere un rapporto quasi esclusivo con la folla e l’opinione pubblica, si troverebbe in una situazione per lui inedita e scomoda: dover ricorrere alla formazione di un governo di coalizione. E per lui inizierebbe la fase delle defatiganti mediazioni, e del dialogo. Che sarà anche il sale della democrazia, ma se è così a lui il gulasch piace sciapo.