La Cina ha accolto l'offerta americana di tornare al tavolo dei negoziati per scongiurare la guerra commerciale: la proposta della ripresa dei colloqui è stata formulata dal segretario Usa al Tesoro Steven Mnuchin all’indirizzo del ministero del Commercio di Pechino prima della nuova raffica di dazi che l'amministrazione Trump vuole applicare sui 200 miliardi di esportazioni cinesi. Ma un altro spettro offusca i già difficili rapporti tra Pechino e Washington, che oltre alla tensione diplomatica sul dossier nord-coreano, potrebbero scontrarsi su un tema a lungo sopito: quello dei diritti umani.
L’amministrazione targata Donald Trump sta infatti valutando sanzioni contro funzionari e società cinesi coinvolti nella repressione degli uiguri, minoranza turcofona musulmana concentrata nella regione occidentale dello Xinjiang. A denunciare la detenzione di massa in Xinjiang, un nuovo rapporto della Human Rights Watch (HRW), che in 117 pagine dimostra come almeno un milione di uiguri siano sottoposti a “indottrinamento politico forzato” in grandi centri di rieducazione.
Il rapporto ha sollevato le accuse delle Nazioni Unite: l’alto commissario Michelle Bachelet, nel suo primo discorso di fronte al Consiglio per i diritti umani, lunedì 10 settembre, ha definito la relazione “credibile” e “profondamente inquietante”. Il rapporto di HRW invitava la comunità internazionale a lanciare “sanzioni mirate” contro i funzionari cinesi collegati alle incarcerazioni. Una ipotesi in fase di studio alla Casa Bianca.
L’indiscrezione arriva dal New York Times, che cita funzionari dell'amministrazione ed ex dipendenti del governo americano, e precisa che di sanzioni contro la Cina per la violazione dei diritti umani si discute da mesi. Al vaglio ci sarebbero anche limiti alla vendita a Pechino di tecnologie americane per la sorveglianza utilizzate anche contro gli uiguri. Se attuate, queste misure sanzionatorie contro la Cina sarebbero le prima dell'amministrazione Trump sul tema dei diritti umani.
Pechino ha smentito le accuse del Palazzo di Vetro. Lo ha fatto per bocca di Hu Lianhe, funzionario del Partito Comunista Cinese, che davanti alla Commissione ONU per l’Eliminazione della Discriminazioni Razziale ha bollato come “non vero” il resoconto su 1 milione di musulmani uiguri rinchiusi nei campi di detenzione, puntando il dito contro il terrorismo internazionale che - dice Pechino - alimenta spinte secessioniste nella turbolenta regione del Xinjiang. Un alibi, quest’ultimo, spesso usato per coprire gli abusi, spiega Sophie Richardson, a capo del programma cinese di HRW. La delegazione cinese all’Onu, invece, non ha reagito alle critiche rivolte alla Cina da Michelle Bachelet.
Lo ha fatto da Pechino il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, che ha invitato l’alto commissario a rispettare la sovranità della Cina nella regione. La stampa cinese non ha riservato grande spazio a questo tema, a partire dai quotidiani più nazionalisti, con l’eccezione del tabloid Global Times, che in un editoriale ha definito le accuse internazionali frutto di pregiudizi. Un segno che Pechino, scrive EastWest, cerca di ignorare questi attacchi aspettando che passi l’attenzione mediatica.
Ora Trump potrebbe decidere di trascinare lo scontro commerciale anche sul campo politico, portando alla ribalda un tema fino ad oggi rimasto in sordina.
Tra Washington e Pechino è già alta tensione sul fronte commerciale, con Trump pronto a varare altre tariffe per 267 miliardi sull'import di beni cinesi che si aggiungerebbero ai dazi per 200 miliardi già promessi. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto tariffe del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio. Ha anche promulgato dazi doganali aggiuntivi del 25% su 50 miliardi di merci dalla Cina e potrebbe in qualsiasi momento applicare imposte del 25% su 200 miliardi di dollari di merci cinesi supplementari. La risposta della Cina non si è fatta attendere: sono stati applicati, sulle merci statunitensi, dazi del 25% su 50 miliardi di dollari di beni.