Il 1 luglio 2018 milioni di ugandesi si ritrovarono impossibilitati ad accedere dai loro smartphone alle app di messaggistica e ai social network più popolari. Da Facebook a Twitter, da WhatsApp a Instagram. Per poter continuare ad utilizzare tali servizi avrebbero dovuto pagare 200 scellini, circa cinque centesimi di euro, al giorno, in un Paese dove una parte consistente della popolazione ha un reddito mensile equivalente a poche decine di euro.
Su sessanta piattaforme che consentivano di scambiare messaggi scritti o vocali era stata imposta una tassa, il cui obiettivo formale era aumentare le entrate per i servizi pubblici, secondo quanto spiegò il ministro delle Finanze, David Bahati. Ma il vero obiettivo di Yoweri Museveni, il presidente che guida la nazione africana da 33 anni, era "porre fine al gossip" che passava per la rete. Ovvero, limitare la circolazione di critiche al suo operato. Una misura meno drastica di quella che adottò nel 2016, quando, in vista delle elezioni, Museveni aveva oscurato tutte le reti sociali.
Crollano le transazioni di denaro online
Nei tre mesi successivi all'introduzione dell'imposta, il numero di ugandesi connessi a internet scese di 3 milioni. A oggi, riporta la Bbc, sono 5 milioni di utenti in meno su una popolazione di circa 42 milioni di abitanti. Nel frattempo "la tassa non ha generato gli introiti previsti dal governo", spiega al Guardian l'avvocato Irene Ikomu. Al contrario, la misura sta avendo un impatto negativo su un'economia dove, a causa della carenza di circuiti bancari formali, molte transazioni economiche avvengono tramite servizi online. Solo nel primo trimestre dall'introduzione della tassa, riporta ancora il quotidiano britannico, il valore degli scambi di denaro via internet è sceso di quasi un quarto, toccando i 14.800 miliardi di scellini, circa 4 miliardi di euro.
Paul Cise, imprenditore di Kampala che vende dati per conto della compagnia telefonica locale Nov Mobile, ha raccontato di aver dovuto ridurre il personale a causa della tassa: "I consumatori non ne sono contenti. Molti hanno scelto di non pagarla e ha reso gli affari molto difficili. Non riesco a pagare i dipendenti e l'affitto". Le stesse compagnie che gestiscono le transazioni di denaro online hanno smesso di rivolgersi ai clienti più poveri in quanto le basse commissioni loro richieste non riescono a compensare l'impatto della tassa.
Proteste online e proteste di piazza
Ibrahim Bbosa, portavoce della Commissione per le Comunicazioni ugandese, non è però così pessimista, e prevede che il numero di cittadini che usano internet tornerà a crescere e che l'attuale tonfo è legato a un temporaneo riequilibrio delle abitudini di navigazione. "Se posso accedere a internet a lavoro, eviterò di farlo quando sono fuori dall'ufficio", sostiene, "probabilmente, presto o tardi, la gente capirà che è qualcosa di cui possono vivere senza e si tornerà alla normalità".
La misura, assai impopolare, ha già causato proteste di piazza, animate soprattutto dai giovani e disperse con i lacrimogeni. E i tentativi di circoscrivere le critiche rischiano di aver esacerbato l'esasperazione degli ugandesi nei confronti del governo. Molti cittadini hanno infatti reagito installando Vpn sui loro smartphone per tornare a esprimere il loro scontento su Facebook e Twitter, dove da tempo gli hashtag #ThisTaxMustGo and #NoToSocialMediaTax sono tra i più condivisi in Uganda. Negli ultimi mesi molti parlamentari hanno proposto di eliminare la tassa o di ridurla. È però probabile che le prossime elezioni, previste nel 2021, portino a un'ulteriore stretta, salvo l'improbabile scenario che il settantaquattrenne Museveni decida di farsi da parte.