Capelli biondi e sorriso, lei è Dominique Corti, medico e presidente della fondazione che porta il nome dei genitori, Lucille Teasdale e Piero Corti, due medici che, in 50 anni di vita in Africa e di impegno per curare i più poveri, hanno trasformato il Lacor Hospital in Uganda, da piccolo ambulatorio missionario, in uno tra i più grandi ospedali non a scopo di lucro dell’Africa equatoriale e hanno creato la Fondazione Corti per sostenerlo.
Dominique ne prosegue il lavoro con impegno e dedizione straordinari.
Una vita tra l'Africa e l'Italia
Una vita divisa tra Africa e Italia, oggi Dominique ha lanciato una campagna di raccolta fondi con cui si potrà aiutare il Lacor Hospital in Uganda ad allargare il reparto di chirurgia. Situato nella città di Gulu, con un bacino di utenza di 500mila persone, nel solo 2016 il St. Mary’s Hospital Lacor ha assistito oltre 290mila pazienti, l’80% dei quali sono donne e bambini. Per questo, fino al 20 novembre prossimo, è possibile donare 2 o 5 euro con sms o chiamate da rete fissa, al numero solidale 45565 a Fondazione Corti.
La struttura per cui Dominique fa la raccolta fondi è oggi un ospedale che dispone di 482 letti al suo interno, 72 nei 3 Centri sanitari periferici e conta 600 dipendenti, tutti ugandesi. Attraverso la campagna di raccolta, la Fondazione Corti sosterrà in particolare le attività del dipartimento di chirurgia con l'acquisto di tavoli operatori, bisturi elettrici, monitor multi-parametrici. Il dipartimento di chirurgia conta attualmente 2 reparti, 136 letti e 6 sale operatorie e offre ai pazienti un servizio di chirurgia generale e specialistica realizzando oltre 5.000 interventi l’anno.
Nel 2000 durante l’epidemia di Ebola l’ospedale è stato in prima fila per tentare di contenerla e durante la guerra civile (1995-2006) ha dato ogni sera rifugio a migliaia di “bambini della notte”, in cerca di un luogo sicuro per evitare di essere rapiti e diventare soldati di Joseph Kony, guerrigliero e criminale ugandese.
Dominique, intervistata in occasione del lancio della campagna sms, racconta di se stessa di essere nata e cresciuta nell’ospedale: “Sono cresciuta seduta sui letti dei pazienti o nell’angolo della sala operatoria e appena ho potuto ho iniziato a fare i primi lavoretti come prendere la pressione, sigillare i sacchetti per la sterilizzatrice a gas, più tardi a fare la ferrista durante gli interventi”.
In tanti ancora adesso le chiedono se non sia stato terribile crescere vedendo la malattia, la sofferenza, fin da piccola. “Quando avevo dieci anni - ricorda Dominique - con il colpo di stato di Idi Amin, il paese andò nel caos sia economico che sociale e fuggirono tutti tranne i miei, che invece decisero di rimanere, ma mi mandarono a studiare in Italia per tre anni e poi in Kenya, da dove li raggiungevo in Uganda per trascorrere le vacanze in ospedale”. Anche le vacanze in Italia erano, per la figlia dei due medici missionari, un continuo cercare soldi e aiuti per l’ospedale. “Gli unici argomenti dei miei - racconta - erano, a pranzo, cena e colazione, quasi esclusivamente legati a pazienti, casi, organizzazione, cure, risorse, problematiche riguardanti l’ospedale. Per loro, e soprattutto per papà, l’ospedale era una grandissima passione”.
Le ferite della guerra
Dominique segue le orme dei genitori e si laurea in medicina. “Quando mi sono laureata, l’ospedale era ormai grande e con medici ugandesi anche a capo di molti reparti. Avrei certo contribuito andando là a fare il medico, ma eravamo in quella che sembrava una guerra senza fine. Entrambi i miei genitori - spiega - sono morti senza che si potesse neanche sperare nella fine del conflitto, la gente era sempre più povera, per decenni il nostro ospedale è stata l’unica struttura sanitaria funzionante per milioni di abitanti, quindi con un bisogno sempre crescente. I tradizionali finanziatori a cui si rivolgeva l’ospedale sempre più avevano priorità che non percepivamo come nostre, o che cambiavano repentinamente, quindi era vitale creare una fonte di finanziamento stabile”.
E’ così che Dominique si butta nella fondazione che i suoi genitori avevano creato, per cercare di svilupparla in modo da garantire all’ospedale finanziamenti sicuri. Anche se ammette che le è inizialmente costato lasciare la medicina per dedicarsi alla ricerca di fondi, “in Africa - sospira - l’importante è cercare di fare ciò di cui c’è bisogno, non quello che si preferisce”.
“Oggi la mia base è soprattutto in Italia, che rimane lo zoccolo duro di aiuto all’ospedale, soprattutto grazie ai colleghi che lavorano con me in fondazione e ai tanti volontari che prestano gratuitamente la loro opera. Viaggio due o tre volte l’anno in Uganda per i consigli di amministrazione, gli eventi importanti e per qualsiasi necessità che richieda la mia presenza” conclude Dominique.
Cure gratis per chi non può pagare
Grazie ai suoi sforzi, oggi al Lacor Hospital chi non è in grado di pagare viene curato gratuitamente. Per chi, invece, può contribuire, le tariffe non superano il 30% del costo reale della prestazione e il ruolo dell’ospedale va ormai ben oltre le cure mediche. La prima casa di Dominique, il vecchio ambulatorio di Gulu, è diventato un motore determinante per lo sviluppo sociale ed economico locale e rappresenta il maggiore luogo di formazione di professionisti sanitari nella regione.
Ogni anno oltre 450 studenti frequentano le sue scuole per infermiere, ostetriche, tecnici di laboratorio e anestesia, assistenti di sala operatoria. È inoltre sede di tirocinio per medici neolaureati dalle tre facoltà di medicina statali del paese e polo universitario della Facoltà di Medicina di Gulu. Per sopravvivere ai decenni di isolamento, l’ospedale ha dovuto allestire officine per costruzioni, riparazioni e manutenzione che permettono a muratori, carpentieri, elettricisti e meccanici di apprendere un mestiere.