Una ex ingegnera del software di Uber - il noto servizio di trasporto privato che si usa con una app - ieri ha avviato una causa contro l’ex-datore di lavoro, sostenendo di essere stata vittima per anni di molestie e discriminazioni sessuali e razziali, e di ritorsioni per averle denunciate in azienda, con conseguenze pesanti sulla vita professionale e la salute.
In una causa presso un tribunale della California, Ingrid Avendano, una ingegnera ispanica che ha lavorato ad Uber tra il 2014 e il 2017, sostiene di essersi scontrata con “una cultura lavorativa dominata da maschi, permeata da una condotta degradante, sessualmente molesta, discriminatoria nei confronti delle donne”. Nella denuncia, Avendano descrive colleghi che avrebbero condiviso inviti espliciti sui sistemi di messaggistica, e in generale commenti inappropriati, molestie fisiche, e pure email inopportune della stessa dirigenza dell’epoca.
Alla donna, a causa delle sue lamentele - sostiene la denuncia, disponibile qui - sarebbero state negate promozioni e aumenti, mentre sarebbero state volutamente abbassate le valutazioni delle sue performance lavorative e intensificati i suoi ritmi di lavoro. Tutto ciò avrebbe portato infine a problemi di salute e alle sue dimissioni. Ma il suo stesso stipendio di partenza – sostiene la donna – sarebbe stato fin dall’inizio inferiore a quello di colleghi uomini con esperienze e mansioni simili. Inoltre, secondo Avenado, il numero di donne ingegnere ad Uber sarebbe drammaticamente diminuito nei tre anni della sua permanenza in azienda, a causa di tali pratiche.
A marzo Uber ha raggiunto un accordo da 10 milioni di dollari rispetto a una class action di 400 ex dipendenti, perlopiù donne o individui appartenenti a minoranze etniche, per discriminazioni sessuali o razziali. Avendano ha preferito non unirsi all’accordo ma fare causa a livello individuale.
Non è certo la prima volta che Uber si ritrova accusata di discriminazioni nei confronti delle donne. A livello mediatico il caso era esploso all’inizio del 2017, quando un’altra ex dipendente, l’ingegnera Susan Fowler, aveva pubblicamente denunciato, in un articolo online, abusi e comportamenti scorretti dell’azienda. Da lì si è innescata una reazione a catena che ha portato alle dimissioni dell’allora Ceo Travis Kalanick (e di decine di altri dipendenti), fino al tentativo dell’azienda di riformarsi dall’interno. L’attuale causa arriva infatti pochi giorni dopo la decisione di Uber di abbandonare l’arbitrato per le molestie, permettendo agli ex lavoratori di andare in tribunale. E quindi, secondo alcuni osservatori, la vicenda potrebbe fare da primo test per verificare se davvero il colosso tech abbia cambiato atteggiamento.
Da agosto il nuovo Ceo Dara Khosrowshahi sta cercando di migliorare l’immagine della compagnia. Che però ha problemi anche su un altro fronte, quello del servizio di trasporto. Secondo una inchiesta della Cnn di fine aprile, infatti, sarebbero un centinaio gli autisti di Uber negli Stati Uniti che sono stati accusati di molestie o violenze sessuali negli ultimi quattro anni.