La Turchia tira dritto: il Parlamento di Ankara ha approvato la mozione per l'invio delle truppe in Libia, a dar man forte al Governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, assediato a Tripoli dai combattenti del generale Khalifa Haftar. A nulla sono valsi gli avvertimenti della comunità internazionale. Su 600 deputati, 325 hanno votato a favore; 184 sono stati contrari e una novantina hanno lasciato l'aula.
Subito dopo, è arrivata la telefonata del presidente americano, Donald Trump, che ha avvertito il capo di Stato turco, Recep Tayyip Erdogan, contro "ogni ingerenza straniera in Libia" che complicherebbe ulteriormente la situazione sul campo. All'irritazione si uniscono Ue, Lega araba ed Egitto. L'Unione europea ha ribadito l'appello a "rispettare l'embargo Onu sulle armi", sottolineando che "non c'e' una soluzione militare" alla crisi in corso nel Paese nordafricano.
Dall'Italia, la vice ministra degli Esteri, Marina Sereni, ha affermato che il voto "aumenta le tensioni in un quadro già drammatico". "La missione Ue proposta dall'Italia è sempre più importante per chiedere a tutti gli attori di rispettare l'embargo Onu, far tacere le armi, ridare voce alla politica", ha spiegato in un tweet.
Il voto del Parlamento turco sulla Libia aumenta le tensioni in un quadro già drammatico. La missione Ue proposta dall’Italia è sempre più importante per chiedere a tutti gli attori di rispettare l’embargo Onu, far tacere le armi, ridare voce alla politica.
— Marina Sereni (@MarinaSereni) January 2, 2020
La Lega araba ha condannato fortemente la mozione e ha invitato a tornare all'accordo di Skhirat, mentre il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, ha presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale per adottare la risposta all'eventuale intervento turco che minaccia il Paese. Da parte sua, la Turchia auspica che "coloro che mantengono un atteggiamento aggressivo in Libia ricevano il messaggio necessario", come ha detto il vice presidente, Fuat Oktay, lasciando intendere che il voto possa avere una forza di deterrenza.
Anche per diversi analisti si tratta più di una mossa politica che di una concreta dichiarazione di guerra: per entrare in azione ci vorrà diverso tempo (secondo la mozione la missione dura un anno) ed Erdogan dovrà decidere se inviare effettivamente truppe o se l'assistenza militare si materializzerà in altra forma.
Di certo il voto rappresenta il tentativo del 'sultano' di mantenere la sua sfera di influenza nel Mediterraneo orientale, che vede minacciata. Proprio oggi Grecia, Cipro e Israele hanno dato il via libera alla costruzione del gasdotto EastMed, che mira a fornire all'Europa il gas naturale del Mediterraneo orientale: un'iniziativa ambiziosa che però contrasta con le aspirazioni energetiche della Turchia nell'area, tanto che Erdogan ha fatto coincidere la votazione nel Parlamento turco proprio con la firma di un progetto che considera un affronto.
A Tripoli, nel frattempo si continua a combattere. Le forze di Haftar avanzano sul quartiere di Abu Salim a una decina di chilometri dal centro della capitale; e poco dopo il voto turco hanno abbattuto un drone turco. Il ministro dell'Interno del Governo di accordo nazionale, Fathi Bashagha, plaude alla mozione turca e minaccia Haftar: "Si arrenda o si uccida".