Il trio di Astana formato da Turchia, Russia e Iran, e impegnato dal 2017 a ricercare una soluzione politica per la Siria, potrebbe subire dei contraccolpi a causa della imminente operazione militare annunciata da Ankara nel nord est siriano. Ai proclami del presidente turco Recep Tayyip Erdogan sono arrivate infatti reazioni fredde sia da Mosca che da Teheran.
Il ritiro dei soldati americani costituisce il semaforo verde che Erdogan attendeva, anche se il presidente americano Donald Trump ha già compiuto una parziale retromarcia e il Pentagono ha specificato che solo alcuni militari sono stati richiamati: una brusca frenata dopo che un ufficiale americano aveva reso noto, ieri mattina, che i marines hanno abbandonato le postazioni delle città di Tel Abyad e Ras al Ayn. Gli Usa hanno un contingente in Siria dal 2014, sbarcato nel nord del Paese per combattere l'Isis al fianco delle milizie curde. Gradualmente gli Usa hanno costituito centri di comando e postazioni a Manbij, Qamishli, Tebka, Darbesiye, Rumeylan e Kobane e prima di questo annunciato ritiro potevano contare su un contingente di circa 2 mila uomini.
La retromarcia di Trump ha portato a una fase di stallo e anche i raid aerei turchi, raccontati nella tarda serata di lunedi' dalla tv libanese Al Mayadeen, non hanno trovato nessuna conferma da parte di Ankara. Il presidente Usa ha pero' confermato che il 13 novembre riceverà a Washington proprio Erdogan.
Il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, ha dichiarato di "non essere stato informato" del ritiro dei marines americani nel nord della Siria, rivelando "dubbi" sul fatto che gli Usa richiamino l'intero contingente. Peskov ha garantito che Mosca "continua a seguire la situazione da vicino" e attende di capire "se e quanti militari verranno richiamati dagli americani".
Non particolarmente accomodante anche la reazione di Teheran, il cui ministero degli Esteri attraverso un comunicato ha definito "preoccupante" la prospettiva di un'offensiva turca in Siria, ammonendo che una tale iniziativa "non garantirà la sicurezza della Turchia", anzi si tradurrà in "perdite umane e distruzioni". Russia e Iran sostengono il presidente siriano Bashar el Assad, che non ha commentato le notizie provenienti da Ankara.
Freddezza e preoccupazione anche dal presidente del Kurdistan Iracheno (Krg), Massud Barzani. L'uomo forte al comando della regione curda - autonoma, ma non indipendente da Baghdad- nonostante negli ultimi anni sia stato molto più in linea con Erdogan che con i cugini siriani, si e' detto "molto preoccupato degli sviluppi nel Kurdistan occidentale. Faremo di tutto perché la gente dell'area non patisca una ulteriore catastrofe". Va ricordato che Barzani ha da anni aperto lo spazio aereo del Krg alle incursioni aeree di Ankara contro il Pkk.
La Turchia mira a costituire una 'safe zone' profonda 30 e lunga 480 chilometri in territorio siriano, a partire dalla riva est del fiume Eufrate fino al confine con l'Iraq. E questa costituzione era stata concordata con gli Stati Uniti lo scorso 7 agosto, un centro operativo era stato costituito e turni di pattuglia congiunti erano effettuati dallo scorso 8 settembre. Condizioni che non hanno soddisfatto Erdogan, deciso a eliminare i curdi del Pyd-Ypg, ritenuti alla stregua dei separatisti curdi del Pkk con cui Ankara è in guerra dal 1984.
Le milizie curde sono confluite nelle Forze Democratiche siriane, in cui rappresentano la maggioranza e hanno dato un contributo essenziale nella lotta all'Isis al fianco degli americani. Oltre a eliminare il Pyd-Ypg Erdogan punta a ricollocare almeno un milione dei profughi siriani fuggiti in Turchia negli ultimi anni.