Il ritiro delle truppe Usa dalla Siria comincia a produrre i primi effetti: l'esercito siriano ha preso il controllo di Manbij, nel nord della Siria, dalla quale si erano appena ritirate le milizie curdo-arabe, ripiegate di fronte all'imminente offensiva turca. È il segno di un cambio di alleanze come conseguenza del vuoto di potere lasciato dagli americani.
Centinaia di soldati dell'esercito regolare sono entrati nella città strategica, ad est della provincia di Aleppo, vicino l'Eufrate, e hanno issato la bandiera siriana. La città era sotto il controllo dei curdi dal 2016 e prima ancora una roccaforte dell'Isis. La televisione siriana ha mostrato le immagini delle colonne di soldati, in marcia a piedi lungo la strada, che scandivano "Allah, Siria, Bashar e niente più".
Poco prima erano stati le stesse milizie curde, le Unità di Protezione del popolo (Ypg), ad annunciare il ritiro dalla zona e di aver chiesto al presidente Bashar al-Assad di farsi carico della sua sicurezza. Gli Stati Uniti, che hanno circa 2 mila soldati in Siria e una base vicino a Manbij, sono stati il principale alleato dei curdi nell'offensiva contro i jihadisti.
Ma adesso se ne vanno e i curdi temono l'imminente offensiva turca. Avvicinarsi a Damasco significa garantirsi il sostegno di Russia e Iran.
Mosca approva. E Damasco è meno isolata
Il placet del Cremlino non si è fatto attendere: la Russia ha definito "positivo" l'ingresso dell'esercito siriano. "Di certo, aiuterà a stabilizzare la situazione", ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, "l'ampliamento della zona sotto il controllo delle forze governative è senza dubbio un trend positivo".
L'annuncio arriva in un momento in cui il regime, sostenuto dai suoi alleati, Russia e Iran, moltiplica le sue vittorie militari e sembra sul punto di rompere il suo isolamento diplomatico: giovedì ha riaperto a Damasco l'ambasciata degli Emirati Arabi Uniti; poche ore più tardi il regno del Bahrein ha annunciato che intende riaprire la propria ambasciata, chiusa ormai sette anni fa.
Ankara ha reagito sostenendo che le forze curde non hanno "il diritto" di chiedere aiuto a Damasco e hanno messo in guardia da qualsiasi "provocazione". L'intera questione sarà affrontata sabato nel corso della visita a Mosca dei ministri degli Esteri e della Difesa turchi, che dovrebbero "fornire chiarezza" e consentire di "sincronizzare le azioni" tra la Russia e la Turchia, secondo Peskov. L'ingresso del regime siriano a Manbij segna anche un cambio nei rapporti tra forze curde e Damasco, che in passato li aveva definiti "traditori": la minoranza curda, oppressa per decenni da Damasco, ha approfittato del conflitto per ottenere l'autonomia di fatto, nel nord e nord-est, in quasi il 30% del territorio del Paese.