Con il presidente Usa, Donald Trump, "abbiamo chiarito, ho detto che abbiamo una legislazione tra le più avanzate d'Europa che sarà un modello per gli altri. Applicheremo quella normativa e quei controlli e questo ci garantirà per quanto riguarda la protezione di tutti gli asset strategici e da qualsiasi pericolo sul piano della cybersecurity". Dopo un bilaterale al summit Nato di Londra, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chiude il piccolo giallo diplomatico sul 5G cinese.
Prima del vertice a due, Trump aveva dichiarato di "aver parlato con l'Italia" del 5G cinese e che l'interlocutore gli era "sembrato che non volesse andare avanti" con il ricorso a Huawei per l'infrastruttura di rete. "Non sono particolarmente impegnato sulla questione, ma penso che sia un rischio per la sicurezza. È un pericolo per la sicurezza", ha dichiarato il capo della Casa Bianca rispondendo a una domanda sulla persuasione degli alleati che vorrebbero adottare il 5G made in China. "Abbiamo parlato con altri Paesi e non andranno avanti", ha aggiunto.
"Ieri con Trump non abbiamo parlato di questo, ieri abbiamo avuto occasione di soffermarci anche durante il ricevimento e parlare di molte cose, ma non abbiamo trattato questo tema" aveva detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio, smentendo così le parole del presidente Usa.
"Ho chiesto a Trump di appoggiare una soluzione politica per la Libia"
"Non abbiamo parlato di dazi, quindi non mi aspetto" misure contro l'Italia da parte di Washington, ha aggiunto Conte dopo il bilaterale, nel quale si è invece parlato di Libia: "Ho richiamato la sua sensibilità per una soluzione politica per la quale ci battiamo, non c'è possibilità di avere una stabilizzazione della Libia in termini di opzione militare, dobbiamo assolutamente avere il loro appoggio per indirizzare una soluzione politica".
Alla domanda se Trump abbia dato la sua disponibilità a un coinvolgimento in Libia, Conte ha risposto che "è molto attento, sa che noi conosciamo molto bene il dossier, sa che, a dispetto di quello che semmai altri rappresentano, la nostra conoscenza del territorio è ormai datata. E ci consente di fare delle valutazioni più accorte e piu' attente, più sostenibili anche in prospettiva futura".
A metà ottobre i vertici di Huawei si sono impegnati in un tour europeo per lanciare la controffensiva all'ostilità Usa al 5G made in China. Un messaggio che si può sintetizzare in uno slogan: meno Trump e più Europa, meno conflitti e più mani tese. Da Strasburgo a Zurigo passando per Berlino, Huawei ha chiesto agli Stati Ue di collaborare, forte anche della frattura nel fronte americano che ha portato, ad esempio, Microsoft a schierarsi con Huawei e a fare lobbying fino a ottenere di poter installare Windows sui portatili della casa cinese.
Ma il quadro è ancora liquido. Se il mercato statunitense è precluso a 5G e smartphone, la leadership in Cina non si discute. In mezzo c'è l'Europa. Trump, nonostante i suoi sforzi, non è riuscito a portare dalla propria parte gli alleati atlantici, anche perché Huawei è già incastonato in diversi Paesi e sarebbe complicato minarlo: secondo gli ultimi dati rivelati da Shenzhen, ci sono 3.700 società europee nella catena di fornitura globale del gruppo ed è europea circa la metà degli oltre 60 contratti commerciali 5G chiusi fino a ora. Da queste parti, il gruppo cinese c'è sia nel mercato dei dispositivi che in quello delle infrastrutture di rete. E al momento di bandi non c'è traccia. Ecco perché il gruppo sta portando avanti una politica di distensione con l'Europa sempre più chiara e piena.
Il 16 ottobre, Abraham Liu, portavoce di Huawei nell'Unione Europea, è stato tra i protagonisti di un dibattito pubblico al Parlamento Ue proprio per parlare di 5G e sicurezza. Primo messaggio: Huawei è qui per restarci. La compagnia, ha affermato Liu, “è un partner di fiducia dell'Europa da vent'anni”. E nei prossimi cinque anni sono in arrivo 90 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. Il dato (“Più di quanto investa la Nasa”, ha sottolineato Liu) è globale, ma è chiaro che una bella fetta arriverebbe in Europa.
Secondo messaggio: dialoghiamo. Il portavoce del gruppo cinese ha ammesso che “le nuove tecnologie portano novità e cambiamenti che possono essere accompagnati da incertezze. Lavoriamo insieme per rimuoverle”. L'intento di Huawei è “raggiungere gli obiettivi senza arrecare danno a nessuno e senza creare due sistemi paralleli”. No quindi a due blocchi tecnologici, uno orientale e l'altro occidentale. “La bicicletta funziona solo con due ruote – ha affermato Liu – e un monociclo non ha mai vinto il Tour de France”.
Sul piatto Huawei mette la propria forza tecnologica. Come a dire: l'Europa serve a noi e noi serviamo all'Europa. Sulle norme, invece – almeno a parole – non c'è negoziato: , ha affermato Liu. “L'Europa è un luogo aperto, dove lo stato di di diritto è motore di innovazione”.
Ken Hu, deputy chairman di Huawei, ha invocato “un costo ridotto delle spettro” e “il supporto dei regolatori”. Visto che “il 5G è un'infrastruttura critica” per il futuro, le frequenze necessarie al suo funzionamento “non dovrebbe essere così costose”.
L'appello non può essere accolto dall'Italia, tra i pochi Paesi ad aver già completato le aste. Ne ha ricavato 6,5 miliardi di euro: un bell'incasso per lo Stato, che potrebbe però essere un peso per gli operatori. “I governi dovrebbero aiutare di più”, ha continuato Hu, Anche a fronte di un incasso immediato inferiore, una gestione più efficiente dello spettro sarebbe una scelta “win win”.
Cioè conveniente per chi sviluppa il 5G ma anche per gli Stati, che beneficerebbero della spinta delle nuove tecnologie. Il deputy chairman di Huawei ha anche sottolineato la necessità di un maggiore “supporto regolatorio”. Come fatto ad esempio dalla Gran Bretagna (che ha allentato alcune restrizioni, consentendo ad esempio l'installazioni di antenne ad altezze maggiori) e dalla Germania (che ha redatto linee guida sulle infrastrutture).
La citazione della Germania non è casuale. Oltre a Strasburgo e Zurigo, il “tour” europeo di Huawei ha lambito anche Berlino. Il Bundesnetzagentur (l’ente tedesco che si occupa, tra le altre cose, di sicurezza nazionale) ha pubblicato il Catalogo dei requisiti sulla sicurezza nazionale per gli operatori delle telecomunicazioni.
Huawei non viene citato, ma – ha sottolineato Reuters – le norme sono strutturate in modo da non escludere il gruppo cinese dalla lista dei fornitori. Se la permanenza di Shenzhen in molti Paesi Ue è stata determinata da una sorta di silenzio-assenso normativo (senza un bando esplicito, resta perché c'era già), il quadro tedesco è uno dei primi – chiari – “sì” a Huawei. Non a caso la compagnia cinese ha diffuso una nota per esprimere tutto il suo apprezzamento: il catalogo tedesco è “un passo determinante e un modello di riferimento”. “L’auspicio – continua Huawei - è che anche in Italia sia adottato un approccio simile e chiaro come in Germania, in modo da garantire agli operatori regole certe”.