Appena pochi giorni fa Donald Trump aveva promesso a Boris Johnson un accordo commerciale "straordinario" tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Un accordo fondamentale per Londra, che dovrà compensare l'impatto dell'uscita dal mercato comune europeo che avverrà dopo la Brexit. Oggi i negoziati rischiano già di saltare sul nascere a causa della 'digital tax' varata lo scorso anno dal governo May e, soprattutto, della potente comunità irlandese americana, che non ha nessuna intenzione di assistere a una Brexit senza accordo che comporti il ripristino dei controlli doganali tra le due Irlande.
Il nodo della 'digital tax'
Londra, a partire dal prossimo aprile, imporrà una tassa pari al 2% dei ricavi generati in Gran Bretagna dalle grandi compagnie digitali Usa, come Facebook, Amazon e Google. Si tratta di un tema al quale l'opinione pubblica non è indifferente, data la facilità con la quale i colossi della Silicon Valley riescono ad aggirare il fisco nei Paesi europei finendo per versare pressoché nulla all'erario.
La misura dovrebbe generare entrate aggiuntive pari a 275 milioni di sterline, circa 300 milioni di euro. Secondo il Telegraph, le autorità americane hanno informato "a vari livelli" il governo britannico che, se la tassa non verrà ritirata, i negoziati per un accordo commerciale non partiranno nemmeno, con buona pace di Johnson che aveva promesso una "trattativa rapida" con Washington.
Anche qualora il premier, che a Westminster ha una maggioranza di un solo seggio, riuscisse a soddisfare la richiesta statunitense, i suoi problemi non finirebbero certo qui. Sul fronte commerciale la "relazione speciale" tra le due sponde dell'anglosfera dovrà superare un altro ostacolo, forse finora sottovalutato da Londra: la potente lobby irlandese, che al Congresso è equamente distribuita tra Repubblicani e Democratici.
Gli "amici dell'Irlanda"
Forte di 54 membri tra Camera e Senato, il caucus degli Amici dell'Irlanda è copresieduto dal democratico del Massachusetts Richard Neal, che presiede inoltre il Ways and Means Committee della Camera dei Rappresentanti. La Commissione ha il potere di mantenere in sospeso a tempo indefinito qualsiasi accordo commerciale. E i discendenti degli immigrati irlandesi, che costituiscono circa il 10% della popolazione statunitense, non intendono far passare alcuna intesa che non scongiuri il risorgere di una frontiera tra le due Irlande.
Nel mirino c'è la promessa di Johnson di cancellare il cosiddetto 'backstop', ovvero la clausola, presente nell'accordo sulla Brexit stretto tra Theresa May e Bruxelles, in virtù della quale al confine tra Dublino e Belfast resteranno in vigore le dinamiche commerciali del mercato comune europeo finché non verrà negoziato un nuovo regime di scambi tra Regno Unito e Unione europea ..
Il 'backstop' è stato la bestia nera dei duri e puri del 'Leave' che, capeggiati da Johnson e Jacob Rees-Mogg, bloccarono a Westminster ogni versione dell'accordo di divorzio stretto da May con la Ue fino a costringerla alle dimissioni. Con il 'backstop', argomentavano i 'Brexiteer', l'Irlanda del Nord, e quindi tutta la Gran Bretagna, manterrebbe un piede nel mercato comune. Pur alludendo a tecnologie avanzate che avrebbero risolto il problema, i falchi dei 'tories' non hanno pero' mai avanzato alcuna proposta esauriente per rimpiazzare il 'backstop' senza ripristinare controlli doganali al confine, cosa che Johnson ha pur promesso di evitare.
L'eredità del Good Friday
E la questione va molto oltre un gruppo di pressione che fa gli interessi della comunità che rappresenta. Il mantenimento di un confine 'aperto' tra le due Irlande è infatti una delle architravi del 'Good Friday Agreement', il trattato siglato il 10 ottobre 1998 che pose fine ai conflitti tra repubblicani cattolici e lealisti protestanti che insanguinarono l'Irlanda del Nord per 30 anni. Proprio gli Stati Uniti furono i registi della storica intesa che portò l'Ira a deporre le armi, e ancora oggi ne restano i garanti. Firmare un accordo commerciale con un Regno Unito che ripristini un 'hard border' tra le due Irlande sarebbe quindi un'aperta violazione dell'accordo.
Pete King, il copresidente repubblicano del Friends of Ireland caucus, in una conversazione con il 'Guardian' ha definito una 'provocazione superflua' l'annuncio di Johnson di voler far piazza pulita del 'backstop' e ha promesso di essere pronto a sfidare Trump su questo fronte.
Martedì scorso il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, ha chiarito all'omologo di Londra che il 'backstop' non si tocca. Una risolutezza nella quale è sostenuto da amici potenti, che non stanno quindi tutti a Bruxelles. Né Trump può, in vista delle presidenziali, permettersi di alienarsi le simpatie della comunità irlandese, che è per giunta assai diffusa in quegli 'Swing States' che tradizionalmente decidono il voto.