“Mi davano semplicemente dei soldi per scrivere”: per i troll dell’Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo, agenzia il cui scopo è stato per anni quello di inventare finte notizie per orientare il dibattito politico russo e internazionale, è stato probabilmente solo un lavoro impiegatizio e ben pagato. Eppure il ruolo dell’Ira è oggi al centro di un dibattito mondiale sulle “fake news” e di un’inchiesta del dipartimento di Giustizia americano, che a febbraio del 2018 ha incriminato 13 russi per aver condotto per tre anni una campagna d’odio in seno alla democrazia americana.
Ma cosa sono i troll?
Nel gergo del web un troll è un utente dedito a provocare discussioni insultando e stuzzicando gli altri partecipanti a una comunità online. Spesso è possibile vederli in azione in particolare tra i commentatori delle pagine social dei giornali, dove insultano gli altri utenti o prendono posizioni volutamente. Ma questo termine nel tempo ha assunto un significato ben diverso, avvicinandosi a quello della “macchina del fango”, più nota al pubblico italiano. Numerose inchieste hanno svelato infatti una rete di organizzazioni dedite alla creazione e diffusione di notizie inventate, con l’obiettivo di sostenere una particolare politica (è il caso degli articoli a sostegno dell’annessione della Crimea da parte della Russia pubblicati sul sito Sputnik), o di creare caos e divisione (quanto accaduto con i cosiddetti troll di sinistra, che hanno promosso selettivamente temi il cui scopo era creare divisione tra i sostenitori del Partito Democratico statunitense).
“Se ho iniziato perché mi davano un sacco di soldi per nulla, quando ho lasciato ho iniziato a capire cosa stavo facendo e quanto fosse sbagliato”. In un’intervista resa a febbraio al New York Times, un ex-dipendente della russa Internet Research Association ha spiegato nel dettaglio il tipo di lavoro che lui e i suoi colleghi erano incaricati di svolgere. Modificare e ripubblicare informazioni, ingaggiare discussioni sui social, sponsorizzare il patriottismo russo evidenziando i difetti degli Stati Uniti: la quotidianità della fonte del giornale era scandita dalla lista di obiettivi che riceveva via mail e che doveva raggiungere dalla sua postazione. “Lavorando in una stanza con altre 40 persone, riceveva un flusso di articoli sui blog provenienti da altri scrittori dell’agenzia - scrive il Nyt -. Il suo lavoro consisteva nell’aggiungere commenti e condividere i post sulle altre piattaforme social. Ciascuno aveva una quota di almeno 80 commenti e 20 condivisioni al giorno”.
Una Ira italiana?
Nella notte tra il 27 e il 28 maggio una rete di falsi account Twitter ha promosso e diffuso la richiesta di dimissioni del capo dello Stato sostenuta in quei giorni da Luigi Di Maio (poi ritirata). In poche ore il numero di ‘persone’ e di commenti schierati contro Mattarella è aumentato vertiginosamente. Il tentativo, inizialmente attribuito all’agenzia con sede a San Pietroburgo, sembra però che sia partito dall’Italia, secondo quanto riportato dagli inquirenti.
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A sostegno della pista russa il fatto che, negli stessi giorni in cui si è appreso che l’hashtag #MattarellaDimettiti era stato pesantemente coadiuvato da dei finti account su Twitter, il sito americano fivethirtyeight.com ha reso pubblico un elenco contenente 3 milioni di tweet prodotti dall’Ira. In realtà si scoprirà che quei profili erano stati disattivati prima dell’attacco a Mattarella, vittima invece dell’attenzione di 400 finti utenti sul medesimo social network che molto probabilmente hanno lavorato in modo autonomo e automatizzato. Anche se resta da capire chi abbia voluto promuovere questa campagna, sembra che almeno stavolta dietro gli schermi non ci sia nessun giovane impiegato.