La premier britannica, Theresa May, lavora agli ultimi ritocchi del piano alternativo per la Brexit che deve presentare in Parlamento, ma intanto continua il pressing di chi le chiede di non escludere un altro referendum. Chiusa nella residenza di campagna dei premier britannici, a Chequers, May lavora al discorso che farà ai deputati domani per definire la sua linea dopo la clamorosa sconfitta a Westminster del suo accordo con Bruxelles.
Ancora niente dialogo con Corbyn
Il piano alternativo sarà votato il prossimo 29 gennaio, a due mesi esatti dalla data fissata per il divorzio da Bruxelles. Deve trovare il consenso mancato quando è stata clamorosamente bocciata dalla Camera dei Comuni, ma non è chiaro a cosa si aggrapperà, visto che vuole rimanere ancorata alle sue 'linee rosse', ovvero il 'no' alla libera circolazione delle persone e alla permanenza nel mercato unico, il 'no' a un secondo referendum. Il leader laburista Jeremy Corbyn non l'ha voluta vedere: si rifiuta di sedersi al tavolo se May non scarta del tutto il 'no deal', l'uscita disordinata dalle conseguenze imprevedibili; ma lei gli ha risposto che questo al momento è "impossibile".
Un nuovo referendum?
Nel frattempo il portavoce per la Brexit dell'opposizione laburista, Keir Starmer, ha cercato di far virare il Labour verso un secondo referendum (con l'opzione 'remain' sulla scheda): una posizione in contrasto con quella di Corbyn che teme le ripercussioni sull'elettorato (un sondaggio commissionato dall'organizzazione europeista Best for Britain ha rivelato infatti che gli elettori sarebbero meno propensi a sostenere il Labour Party se il partito di opposizione britannico si impegnasse per fermare la Brexit). Corbyn vuole infatti il voto anticipato per poter gestire da Downing Street la Brexit. E invece, in un discorso alla Fabian Society, Starmer ha detto che se non fosse possibile andare alle elezioni, allora per il Labour tutte le opzioni devono stare sul tavolo, compresa quella di un altro referendum.
"Non credo sia un segreto che credo fermamente nella scelta di rimanere nell'Ue e ci deve essere (anche) l'opzione di andarsene". Per Starmer è anche ormai "inevitabile" che il governo debba chiedere il rinvio della Brexit, ovvero la proroga dell'articolo 50 del trattato di Lisbona per poter prolungare i negoziati oltre il 29 marzo.
Per l'Italia un conto da 23 miliardi
L'Ue intanto aspetta, disponibile a una proroga del negoziato e consapevole che la partita decisiva si gioca oltremanica. Intanto però i Paesi europei ultimano i cosiddetti piani di emergenza per far fronte agli effetti sfavorevoli che può avere un'uscita del Regno Unito dall'Ue senza alcun accordo, la cosiddetta 'hard brexit': una rottura le cui conseguenza sarebbero negative per tutti. Il Centro studi di Confindustria ha avvertito che un divorzio senza accordo costerà all'Italia 23 miliardi di euro e che i settori più penalizzati sarebbero le bevande e l'agrifood.