Alla fine il governo dell’Oman ha fatto un mezzo passo indietro: il prezzo degli alcolici è sì aumentato ma solo, si fa per dire, del 50 per cento. Nel giro di una settimana, insomma, la cosiddetta ‘tassa sui peccati’ è già stata ritoccata verso il basso.
Su i prezzi, su i ricavi: 250 milioni all’anno
La storia dal principio: sabato scorso, il 15 giugno, in Oman è entrata in vigore una legge che raddoppia le accise su alcuni beni di consumo. Cinque le categorie colpite: il tabacco, le bibite energetiche e quelle gassate, i prodotti derivati dalla carne di maiale e gli alcolici. Un aumento del 100 per cento (del 50 per cento nel caso dei soft drink) delle tasse che i venditori devono versare al momento di rifornirsi di questi generi alimentari, un balzello che inevitabilmente ricade sui consumatori che si trovano prezzi maggiorati al momento di acquistarli.
Il motivo della nuova tassa sui vizietti? È duplice. Da un lato gli effetti positivi sulla salute dei 4 milioni e mezzo di cittadini del sultanato, che per forza di cose dovranno limitare il consumo di alcuni prodotti di certo non benefici. Dall’altra, le ovvie ricadute economiche: il direttore generale delle inchieste e degli accordi fiscali del ministero dello Finanze dell’Oman, Sulaiman bin Salim Al Aadi, aveva spiegato che “l'imposta di consumo potrebbe generare tra i 90 e i 110 milioni di rial all'anno”, cioè una cifra attorno ai 250 milioni di euro. Certo, anche lo stesso Al Aadi sapeva che inizialmente ci sarebbe stata una flessione, ma era fiducioso che bastasse qualche tempo per riprendere i normali consumi e generare nuove entrate per le casse omanite. Con buona pace della salute, evidentemente.
Il perdono del ministro delle Finanze
Oggi c’è, come anche in molti dei paesi vicini dell’Oman; ma prima di introdurre la ‘tassa del peccato’ il governo ha lavorato con grande cura, decidendo anche di rimandarla di 18 mesi rispetto a quanto inizialmente previsto: da sabato scorso, in ogni caso, è diventata legge a tutti gli effetti. Una norma che prevede anche pene salate per i commercianti furbetti che cercano di evaderla, con multe fino a 45 mila euro e tre anni di carcere. Il Times of Oman, una delle principali pubblicazioni del paese, aveva persino sparato un titolo come “La tassa sul peccato fa bene a te e all’economia”, raccontando di come medici, economisti e pubblico fossero tutti concordi nell’aumento dei prezzi.
Qualcosa, però, dev’essere andato storto: a meno di una settimana dall’entrata in vigore del famigerato decreto 23/2019, il ministero delle Finanze ha deciso di dimezzare l’aumento delle accise sugli alcolici. Insomma: rincaro sì, ma solo della metà. Alla stregua di una semplice Coca Cola.
Un peccato veniale, o venale?
Il passo indietro, anche se non totale, c’è stato. D’altronde un po’ in tutto il mondo esiste o si parla di ‘sugar tax’, qualche forma cioè di rincaro su prodotti dolciari che serve a scoraggiarne il consumo e a rimpinguare le casse del sistema sanitario per le cure delle patologie correlate. E la Scozia, a proposito di alcol, sempre per ragioni di salute lo scorso maggio aveva introdotto il prezzo minimo.
Il dietrofront made in Oman, però, rimane un caso unico: il ministero si è affrettato a giustificare la mossa con il timore di un aumento di alcol di contrabbando e con un calo nell’arrivo di turisti impauriti di rimanere sobri troppo a lungo. Nei primi giorni di legge, giurano al sito Muscat Daily alcuni cittadini di Mascate, anche i bar più popolari erano deserti. Svuotare locali e pub dagli avventori significa di fatto rimetterci economicamente: quello sì che sarebbe stato un peccato.