È il 15 febbraio 2012 quando due pescatori indiani vengono uccisi, centrati da colpi d'arma da fuoco mentre si trovano a bordo di un'imbarcazione al largo delle coste del Kerala. Della loro morte vengono accusati i due marò in servizio anti-pirateria sulla petroliera Enrica Lexie, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, fermati il 19. Ne nasce uno scontro con l'Italia sulla giurisdizione del caso.
Nel gennaio dell'anno successivo, la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha competenze sulla questione e affida il caso a un tribunale speciale da costituire a New Delhi. Nel frattempo, il 21 marzo 2013, il governo italiano annuncia che i due maro' rientreranno in India al termine di una licenza in Italia concessa per permettere loro di votare. Dieci giorni prima l'allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi, aveva affermato che non sarebbero tornati, ma dopo le fortissime pressioni di New Delhi arriva il dietrofront. In cambio, l'Italia ottiene la garanzia da New Delhi che è esclusa la pena di morte.
Il mutamento di strategia però porta alle dimissioni per protesta del capo della diplomazia, annunciate il 26 marzo alla Camera, in diretta televisiva, "a salvaguardia della onorabilità del nostro Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana". Che la Farnesina "abbia agito per fatti suoi è risibile e strumentale", spiega in quell'occasione Terzi, sottolineando che sulla decisione di non rimandare i fucilieri in India al termine della licenza elettorale aveva avuto "l'assenso di tutti".
Intanto, in India, dopo la costituzione a New Delhi di un tribunale 'ad hoc', nel marzo 2014 la Corte suprema accoglie il ricorso presentato dai due fucilieri contro il coinvolgimento nel caso della Nia, la polizia antiterrorismo, dopo l'esclusione del ricorso alla legge antipirateria. I giudici indiani sospendono il processo a carico dei marò presso il tribunale speciale, mentre l'Italia punta a internazionalizzare il caso e sollecita un arbitrato sulla giurisdizione, invocando anche l'immunità funzionale di cui godevano i due militari.
Ad agosto dello stesso anno Massimiliano Latorre viene ricoverato in un ospedale di New Delhi a causa di una leggera ischemia cerebrale. A metà settembre gli viene concesso un permesso di quattro mesi per curarsi in Italia. Da allora, la Corte Suprema gli concederà diverse proroghe, estendendo la sua convalescenza in patria, e non farà più rientro in India.
Nel giugno 2015, l'Italia attiva l'arbitrato internazionale di fronte all'impossibilità di arrivare a una soluzione per via negoziale diretta con l'India. Roma chiede misure che consentano la permanenza di Latorre in Italia e il rientro in patria di Girone durante l'iter della procedura arbitrale. Il 24 agosto 2015, il Tribunale internazionale del Mare ordina a Italia e India di sospendere qualsiasi procedura e astenersi dall'avviarne altre, respingendo la richiesta di Roma di misure temporanee.
Quasi un anno dopo, il 2 maggio 2016, il Tribunale arbitrale dell'Aja dispone che il sergente Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale, e così avviene il 28 maggio, alla presenza dell'allora ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e di quello della Difesa, Roberta Pinotti. I rapporti bilaterali con l'India si sono riaperti ufficialmente nell'ottobre 2017 con la visita a New Delhi di Gentiloni, divenuto nel frattempo presidente del Consiglio. La sentenza del tribunale arbitrale era prevista entro ottobre 2018 ma è slittata per la morte di un giudice indiano, sostituito a novembre. Il verdetto potrebbe arrivare il 20 luglio.