Non ci piacciono i preconcetti di Facebook e Twitter: preferiamo i nostri. Donald Trump ha spesso accusato le grandi piattaforme di penalizzare i contenuti di repubblicani e conservatori. E così si allarga la galassia di app dove il problema non esiste: gli utenti hanno tutti idee simili.
I sostenitori di Trump parlano solo tra loro, così come i cattolici o i crociati delle armi da fuoco. Ci sono persino app di incontri riservate ai fan del presidente. Il New York Times ha esplorato questo universo digitale parallelo, più granulare rispetto a Facebook ma capace comunque di mettere assieme centinaia di migliaia di utenti.
Le app per i “patrioti”
C'è ad esempio l'app della National Rifle Association, l'organizzazione che difende il diritto a possedere fucili e pistole. È stata scaricata 150.000 volte. I sostenitori di Trump possono accedere a Great America, che tra le sue tradizioni ha il “Fake News Friday”. Se il “follow friday” di Twitter invita gli utenti a consigliare una persona da seguire, il venerdì su Great America si trascorre postando meme che oscillano tra l'appoggio ai liberali e i messaggi anti-immigrati. Il repubblicano Ted Cruz, sconfitto nelle primarie da Trump, è sostenuto da Cruz Crew.
Le app hanno diverse funzioni, con una cosa in comune: la partigianeria. Raccolgono un flusso di notizie che obbedisce alle idee degli utenti, consentono di commentare e pubblicare contenuti che su Facebook potrebbero essere bollati come offensivi e censurati. In alcuni casi gli iscritti possono fare donazioni e in cambio ricevono una spilletta digitali che indica il loro status, come “Patriota”. Le app invitano anche a condividere messaggi sulle grandi piattaforme, pubblicizzando così un contenuto che fa capo a una campagna ma che non compare come sponsorizzato.
“Uno spazio sicuro”
Dietro la costruzione di queste app a compartimenti ideologici stagni c'è, spesso, la stessa startup: uCampaign. “Le persone con visioni di centro-destra hanno la percezione che i grandi social media non siano solidali con le loro opinioni”, ha affermato al New York Times Thomas Peters, amministratore delegato della società. Per questo, la sua compagnia crea “uno spazio sicuro per chi condivide lo stesso punto di vista”. All'interno di questo rifugio, però, c'è il rischio che le idee (prive di discussione) si polarizzino. Chi è dentro è con me, chi è fuori è contro.
UCampaign è nata nel 2014 grazie a 150.000 dollari investiti da Sean Fieler, presidente del fondo speculativo Equinox Partners e già sostenitore di gruppi conservatori. Da allora, ha sviluppato decine di applicazioni, scaricate circa 500.000 volte. Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Canada e in Europa. Il più delle volte sostengono campagne politiche, ma ci sono quelle che riguardano i gruppi di pressione, come il Family Research Council, organizzazione che si oppone all'aborto e al matrimonio gay. Anche i democratici, in passato, hanno utilizzato app per i propri elettori. Ma, nella maggior parte dei casi, il loro compito si è esaurito al termine della campagna elettorale.
La privacy non c'entra
La gallassi di app repubblicane non avrebbe nulla a che fare con la privacy. La scelta di piattaforme più piccole non comparta l'abbandono delle più grandi, né garantisce una maggiore sicurezza. Anche le applicazioni politiche fanno un uso abbondante di dati: richiedono il numero di telefono, l'indirizzo mail e le generalità degli utenti. E quando si sincronizza il proprio account con quello di Facebook o Twitter si apre al passaggio di ulteriori informazioni sulla propria attività e su quella dei propri contatti. Il tema non è quindi la riservatezza ma la comodità di un ambiente che rafforzi le proprie idee. Si dibatte molto sul fatto che social media e motori di ricerca incoraggino i nostri “bias”: assecondano le nostre idee (giuste o sbagliate, vere o false che siano) perché mettono a disposizione contenuti che le supportano. L'esatto opposto dell'ambiente aperto immaginato dal papà del web Tim Berners Lee. Le app di uCampaign scavalcano il dibattito e rivendicano un nuovo diritto: il diritto al preconcetto.