L'accordo tra Russia e Turchia comporta una sostanziale spartizione dell'area a nord-est della Siria tra l'esercito di Ankara e i militari di Damasco fedeli al presidente siriano Bashar el Assad. Questi ultimi, sostenuti da Mosca, tornano dopo 8 anni a presidiare il confine turco.
Un accordo, formalizzato in 10 punti, che getta pesanti ombre sul futuro dei curdi siriani, la cui regione era stata governata con continuità dal partito Pyd negli anni del conflitto in Siria, mentre le milizie Ypg si rendevano protagoniste della lotta all'Isis. Una spallata significativa al progetto Rojava, uno stato curdo autonomo nel nord della Siria, è stata data dal graduale disimpegno degli Usa dall'area, la cui sola presenza ha per anni evitato l'attacco turco (poi arrivato), ma soprattutto rafforzato la posizione del Pyd/Ypg al tavolo delle trattative da portare avanti con Damasco (o Mosca).
Assad rimette le mani sul nord
Il ministero della Difesa russo ha ieri annunciato che 15 punti di controllo saranno istituiti lungo il confine turco-siriano, a est dell'Eufrate e gestiti dall'esercito di Damasco. Un'area fino a pochi giorni fa sotto il controllo delle milizie curde Ypg, sostenute dagli americani, è praticamente passata sotto il controllo dell'esercito di Damasco, sostenuto dai russi. I 15 check point che Mosca costituirà per Assad sono previsti a est e ovest dell'area compresa tra le città di Tel Abyad e Ras al Ayn, un territorio di 120 km di estensione e 32 di profondità che rimane sotto il controllo dell'esercito turco, all'interno ankara vuole istituire altri 12 check point (fonte ministero della Difesa).
Nell'area, 440 km di estensione e 32 km di profondità, non c'è più spazio per le milizie Ypg, ma neanche per gli americani, che manterranno un piccolo contingente a sud. Nei negoziati, mai concretizzatisi tra Usa e Turchia, era stata ipotizzata nei mesi scorsi la formazione di forme di amministrazione e governo locale, opzione sparita dagli accordi di Ankara con Mosca, che spianano la strada al controllo da parte del regime di Damasco, tornato negli ultimi giorni a Kobane, Manbij, Tal Amir, Ayn Isa e Tabka, tutte città che Assad aveva abbandonato tra il 2011 e il 2012.
Quale destino per i miliziani?
Con il ritiro ormai scontato dell'Ypg dall'intera 'safe zone' c'è chi si chiede quale futuro ci possa essere per i miliziani che negli ultimi 7 anni hanno governato il nord della Siria e combattuto contro l'Isis. Al di là dell'ipotesi, seppur ventilata, di una resistenza suicida da parte di Ypg, la via potrebbe essere quella di un accordo con Damasco (ossia anche con Mosca), che garantisca un riconoscimento alla minoranza curda nel nord-est del Paese e una autonomia quanto meno dal punto di vista culturale e linguistico e magari, amministrativo.
La transizione delle milizie armate Ypg può a sua volta prendere due strade. La prima ipotesi prevede l'inglobamento nell'esercito di Damasco, di cui potrebbero costituire battaglioni speciali. La seconda ipotesi vedrebbe invece Ypg abbandonare definitivamente le armi pesanti per svolgere compiti di polizia locale e pattugliamento del territorio a maggioranza curda, a sud della 'safe zone' oggetto degli accordi tra Ankara e Mosca.
Accordo che ai curdi siriani lascia uno spiraglio nella città di Qamishli, situata a est della safe zone ed esclusa dai pattugliamenti russo turchi. Il centro a maggioranza curda è l'unico, al momento, in predicato di poter fungere da centro amministrativo per una futura, ipotetica, forma di autonomia curda in Siria.
Il futuro di quest'ultima è in mano a Mosca, che nel rinnovato scenario del conflitto siriano lavora per riaprire i canali tra Damasco e Ankara e con l'uscita di scena degli Stati Uniti è sempre più ago della bilancia del destino dei curdi in un Paese che il presidente russo Vladimir Putin sta rimettendo pezzo per pezzo in mano al presidente Assad.