A questo punto la questione non è "se" la Turchia invaderà il Nord della Siria ma "quando" lo farà. Tuttavia "non è escluso che possa avere difficoltà sul terreno con i curdi che sono molto determinati e agguerriti". A sottolinearlo all'Agi è il generale Vincenzo Camporini, consigliere scientifico dell'Istituto Affari internazionali (Iai).
"Dopo il fallito golpe del 2016 - spiega - il presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha riconfigurato le forze armate con determinazione tale da mettere a rischio la capacità della struttura militare di essere efficace. Ha mandato a casa la stragrande maggioranza dei capi delle forze armate di terra e cielo".
Ne sono una dimostrazione le perdite, ingenti, riportate nell'operazione Ramoscello d'ulivo lanciata nel gennaio 2018 sempre contro i curdi della Siria settentrionale. "Non prenderei sottogamba la battaglia dal punto di vista strettamente militare", aggiunge Camporini.
Inoltre, con un conflitto aperto, Ankara potrebbe trovarsi ad affrontare il pericolo terrorismo. "Come conseguenza dell'offensiva la Turchia dovrà sicuramente incrementare il livello di attenzione contro la minaccia terroristica. La fazione curda, se messa alle strette, non avendo altri mezzi per resistere, potrebbe ricorrere a questa arma che la Turchia ha già sperimentato in passato. Non credo che i curdi staranno a guardare".
Sul fronte geopolitico la decisione "più problematica" è quella presa dagli Stati Uniti. "Abbandonare la Siria e lasciare gli alleati più fedeli alle mercè dei loro nemici avrà conseguenze notevoli. Chi mai più si fiderà degli Stati Uniti come alleato da appoggiare? Vuol dire che la futura politica estera americana potrà contare sempre meno su alleati locali", afferma ancora Camporini.
In tutto questo l'Europa continua a essere assente, "avendo una politica estera che stenta a decollare se non sulla base di interessi puramente nazionali". Non è escluso che sarà lo stesso presidente turco a chiamarla in causa. "Il suo piano per la zona che occuperà è di trasferirvi i milioni di rifugiati siriani che attualmente si trovano in Turchia. Il piano costa 27 miliardi e probabilmente Erdogan vorrà che l'Europa paghi, avendone fatto ormai il proprio bancomat".