In Siria si avvicina l'offensiva finale per espugnare l'ultima roccaforte dei ribelli, nella provincia settentrionale di Idlib, dove il regime di Damasco ha ammassato tra i 100.000 e i 150.000 uomini in vista di quella che si annuncia come una campagna persino più sanguinosa di quelle per la riconquista di Aleppo e della Ghouta orientale, alla periferia della capitale.
Di fronte si trovano, fra gli altri, almeno 10 mila miliziani jihadisti. La Russia, alleata del presidente Bashar al-Assad, ha rafforzato la sua presenza navale nel Mediterraneo con grandi manovre che partiranno sabato, e ha messo in guardia gli Stati Uniti dall'intervenire con il pretesto di punire eventuali attacchi chimici (che, secondo Mosca, i ribelli intenderebbero inscenare per innescare una rappresaglia occidentale contro il governo).
La Turchia è contraria all'operazione
Anche la Turchia ha rafforzato la presenza militare nella zona con l'invio di altri uomini e blindati. Non è tuttavia chiaro quale sarà il ruolo di Ankara in un'operazione militare che potrebbe riversare un'ondata di centinaia di migliaia di profughi verso il confine turco. La settimana scorsa il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva avvertito il Cremlino che un attacco diretto a Idlib sai sarebbe risolto in "una catastrofe". L'Onu ha ribadito l'allarme sul rischio di "catastrofe umanitaria" in caso di attacco e ha chiesto l'apertura di un corridoio per far uscire i civili.
Il ministero della Difesa russo ha annunciato che, dal primo all'8 settembre, 25 navi e una trentina di aerei saranno coinvolti in una maxi-esercitazione nel Mediterraneo, la più grande esibizione di muscoli da parte di Mosca dall'inizio dell'intervento nel conflitto siriano nel settembre 2015. Il Cremlino ha spiegato che aumentare le precauzioni in Siria "è pienamente giustificato e fondato", in quanto la situazione nel Paese "ha un notevole potenziale di peggioramento". Il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, è stato chiaro: "La situazione attorno a Idlib lascia molto a desiderare; il covo di terroristi che si sta formando lì non promette nulla di buono, se si continua a non agire".
Mosca teme un intervento Usa
Attorno a Idlib già sono ammassati i soldati di Assad e le milizie sciite inviate da Teheran. Potenziando il suo contingente, Mosca spera di poter arginare un'eventuale reazione della coalizione anti-Isis, guidata dagli Usa, che ha già minacciato di reagire nel caso il regime usi armi chimiche per stanare i terroristi legati ad al-Qaeda. L'inviato speciale dell'Onu, Staffan de Mistura, si è detto pronto a volare a Idlib per facilitare l'uscita dei civili prima di un eventuale attacco, in cui vi è il rischio dell'utilizzo di armi chimiche da entrambi i lati.
Per Mosca, invece, l'uso di armi chimiche può essere possibile solo con una "messinscena" organizzata da Usa, Francia e Gran Bretagna per giustificare un attacco contro le forze di Assad, le cui conseguenze pero' "sarebbero imprevedibili", come ha avvertito la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Zakharova ha spiegato i timori di Mosca anche col fatto che, a suo dire, le forze armate Usa "potrebbero accumulare capacita' missilistiche per gli attacchi in Siria in poco più di 24 ore".
Lo spettro di un attacco chimico
Lo scorso 27 agosto il ministero della Difesa russo aveva fatto sapere di aver notato alcuni movimenti militari da parte delle forze statunitensi in Medio Oriente in preparazione di un possibile attacco alle forze governative siriane. Secondo diverse agenzie di stampa russe, tra cui TASS, il generale Igor Konashenkov ha detto che la USS Ross, un cacciatorpediniere della Marina statunitense, è entrata nel Mediterraneo il 25 agosto armata con 28 missili da crociera Tomahawk in grado di colpire qualsiasi obiettivo in Siria.
Due giorni prima il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Knashenkov, aveva asserito che la formazione ribelle Hayat Tahrir al-Sham stesse preparando un attacco chimico nella provincia di Idlib per poter poi accusare il regime di Assad di essere il responsabile e usarlo come pretesto per un attacco delle potenze occidentali contro Damasco.
Secondo Knashenkov, i jihadisti hanno trasferito "otto cisterne di cloro" nella città di Jisr al-Shughur per "simulare" un attacco e queste sono state poi portate 8 chilometri fuori dal villaggio. Nello stesso luogo, il giorno prima sarebbe arrivato un gruppo di militanti "addestrati in sostanze tossiche sotto la supervisione di specialisti della compagnia privata britannica 'Oliva'".
L'accusa lanciata arrivava pochi giorni dopo che il Consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton, aveva assicurato che gli Usa avrebbero risposto "con grande forza" nel caso Assad usasse di nuovo armi chimiche in un'offensiva per riconquistare Idlib. "In merito alle accuse secondo le quali la Siria usa armi chimiche, confermiamo che non ne abbiamo, non le stiamo usando e, di fatto, non abbiamo bisogno di usarle perché stiamo vincendo", ha replicato il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem dopo un incontro a Mosca con il collega russo Serghei Lavrov.
Nella ridda di versioni contrapposte e indiscrezioni impossibile da verificare che caratterizza le notizie sulla guerra civile siriana, è impossibile non segnalare quella, pubblicata dal quotidiano libanese 'Al Akhbar', vicino a Hezbollah, secondo cui una delegazione statunitense avrebbe incontrato due mesi fa per quattro ore Ali Mamluk, direttore dei servizi segreti in Siria. Alla riunione avrebbero partecipato altri esponenti dei servizi segreti e delle Forze armate siriani. Il Pentagono e il Dipartimento di Stato Usa non hanno per ora risposto alle domande poste sulla questione.
L'attacco precederà il vertice?
L'escalation sul campo lascia pensare che l'offensiva a Idlib - dove sono presenti 2 milioni di sfollati secondo le stime Onu - verrà lanciata senza aspettare il trilaterale tra i capi di Stato dei grandi attori regionali della crisi siriana: Russia, Iran e Turchia. Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyip Erdogan hanno in programma di vedersi a Tabriz il 7 settembre.
Attualmente sono i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham, gruppo nato dalla fusione di diverse sigle islamiste e costola di al Qaeda, a controllare il 60% del territorio di Idlib, mentre la gran parte del restante 40% è in mano a diverse milizie, tra le quali prevalgono gli uomini del Fronte di liberazione nazionale, un gruppo sostenuto dalla Turchia che, secondo altre indiscrezioni, sarebbe in trattativa con Mosca, che intende evacuarli per concentrare l'assalto contro i jihadisti ed evitare pericolose frizioni con Ankara.