L'Isis svanisce lentamente, ma questo non vuol dire che la crisi siriana sia ad un passo dalla soluzione. La guerra in Siria, iniziata come una grande protesta anti-governativa nel marzo 2011, trasformatasi dopo le repressioni in un conflitto civile e sfociata in una guerra regionale che vede la partecipazione di diversi attori internazionali, statali e non statali, dura da quasi sette anni.
Il conflitto ha prodotto mezzo milione di vittime e ha reso sfollata più della metà della popolazione siriana. Con la riconquista di Raqqa da parte delle Syrian Democratic Forces, con la copertura aerea statunitense, lo Stato islamico ha perso la sua capitale, così come almeno tre quarti del territorio che controllava tra Siria e Iraq nel 2014, anno della proclamazione del Califfato.
Oggi Daesh controlla un'area perlopiù desertica a cavallo tra Siria e Iraq, oltre ad avere altre piccole enclavi, soprattutto nell'area del Golan. Se alcune parti della Siria sono tornate ad una situazione di relativa tranquillità, sotto il controllo dell'esercito di Assad, non si può certo dire che il Paese levantino sia stato riconquistato. I protagonisti in campo sono molti, e gli interessi dei diversi attori non sempre convergenti.
Il ruolo di Hezbollah
Oggi in Siria il regime, sostenuto soprattutto dai russi, che hanno una base navale a Tartous e diversi distaccamenti militari nelle principali città, controlla piùo meno saldamente la direttrice Damasco-Aleppo (qualcuno l'ha definita la "Siria utile"), con quest'ultima riconquistata alla fine dello scorso anno.
Da ormai più di tre anni, un contributo fondamentale alle operazioni di terra del fronte pro-Assad lo hanno fornito le milizie sciite filo iraniane di Hezbollah, prima nelle città di confine tra Siria e Libano e poi anche nella battaglia di Aleppo, dove alcuni media hanno parlato senza mezzi termini della "vittoria di Hezbollah". Sarebbero circa 8000 gli uomini del Partito di Dio impiegati finora nei diversi fronti.
Di Hezbollah non ne esiste solo una: c'è anche Hezbollah al Nujaba, un altro gruppo paramilitare filo iraniano nato Iraq e sotto i comandi di Abu Mahdi al Muhandis, che dopo aver partecipato ad alcune battaglie in Iraq (quella di Tikrit, di Baji, di Jurf Assakhar, di Amerli e di Salahuddin) ha preso parte anche all'offensiva su Aleppo.
Gli Hezbollah rispondono sopratutto al generale iraniano Qassem Suleimani, che guida le Forze Quds, cioè i pasdaran d'elite impegnati nelle operazioni all'estero.
In generale, le milizie di Hezbollah in particolare, così come le altre milizie paramilitari filo iraniane disseminate tra Siria e soprattutto Iraq, hanno svolto le veci di fanteria del fronte pro-Assad, specie a partire dal 2014, con l'Esercito lealista via via sempre più indebolito da defezioni e mancanza di fondi.
L'Hezbollah libanese ha vinto delle battaglie importanti volte anche a mettere in sicurezza il poroso confine libanese: quella di Qusayr e quella del Qalamoun, a cui si aggiunge anche la recente offensiva - condotta con l'Esercito libanese - su Arsal, cittadina libanese al confine siriano, in cui dal 2014 si era insediato l'Isis, in una dinamica simile a quella che portò alla conquista di Mosul (anche ad Arsal l'Esercito libanese fu colto di sorpresa e quasi 30 soldati furono rapiti e tenuti ostaggi per più di due anni). Anche nei dintorni di Damasco, per esempio nell'offensiva su Zabadani, il ruolo di Hezbollah è stato di primo piano.
Un terzo del paese in mano alle Syrian Democratic Forces
L'offensiva del regime ha subito una accelerata nel settembre 2015, cioè da quando i russi sono intervenuti direttamente nel conflitto, fornendo copertura aerea alle truppe governative siriane, coordinate a terra spesso da generali iraniani.
Quasi un terzo della Siria - il nord del Paese - è poi sotto il controllo delle Syrian Democratic Forces, composte da arabi e soprattutto da curdi delle Ypg (a cui si aggiungono anche distaccamenti del Pkk, secondo alcune fonti), e sostenute dai raid aerei americani. Sono le Sdf ad aver condotto l'offensiva su Raqqa e buona parte delle altre offensive (Kobane, per esempio) contro l'Isis in Siria.
Sia Ypg che Hezbollah (in supporto dell'Esercito siriano) sono presenti nel governatorato di Deir Ezzor, liberata dalla presenza dell'Isis, e sembra siano destinate a contendersene il controllo. Deir Ezzor è infatti importante per almeno due ragioni: perché nei suoi dintorni ci sono dei giacimenti petroliferi e perché si trova sulla rotta del "corridoio" che l'Iran cerca di costruire sull'asse Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut.
Gli eredi di al Nusra
Il fronte sunnita anti-Assad, fatta eccezione per l'Isis che è dislocato nell'est del Paese e in alcune piccole enclavi, è diviso tra quello a nord e quello a sud del paese. A nord - nella zona di Idlib - c'è Hayat Tahrir al Sham, una sorta di coalizione ombrello di formazioni qaediste o ex qaediste: sono gli eredi di Jabhat al Nusra, formazione qaedista che più di un anno fa aveva formalmente preso le distanze dall'orbita del movimento fondato da Bin Laden. All'interno di HTS sono inquadrati alcuni dei più potenti gruppi ribelli della provincia di Aleppo.
Dopo l'intervento russo alla fine del 2015, alcuni accordi tra il regime siriano e le forse di opposizione armata hanno portato al dislocamento di migliaia di combattenti (assieme alle loro famiglie) nella zona di Idlib. La convivenza tra diverse formazioni militari non è stata facile sin da subito, con la creazione di diverse intra alleanze a livello locale, in lotta per il controllo dell'area. Da questi conflitti HTS è emersa come la fazione più solida.
A inizio ottobre, l'esercito turco ha dato il via ad una offensiva militare contro HTS (usando la Free Syrian Army come fanteria) proprio nella provincia di Idlib, per poter creare un'altra zona di de-escalation. È verosimile che HTS nei prossimi tempi possa nuovamente dividersi al suo interno, dando vita a formazioni più contenute con strategie diverse.
Ankara tiene i fili della Free Syrian Army
Poi c'è la Free Syrian Army (FSA): quando è iniziato il conflitto, era nata come un confuso e opaco conglomerato di brigate militari autonome, spesso fondate da ex comandanti dell'Esercito siriano che avevano defezionato, e riunite sotto un vago ombrello, privo di coordinamento militare centralizzato.
Ciò con il passare del tempo ha finito per rafforzare alcune narrazioni che descrivono l'FSA come integralmente organico ad Al Qaeda, in conseguenza del fatto che alcuni battaglioni inquadrati al suo interno hanno finito allearsi militarmente con Jabhat al Nusra. Altre brigate si sono sciolte, nel momento in cui alcuni comandanti hanno deciso di compiere il percorso inverso, defezionando nuovamente a favore dell'esercito fedele ad Assad.
All'interno di quel che rimane dell'FSA sembra non esistere alcuna coesione ideologica, politica o militare: l'FSA è sostanzialmente una piattaforma gestionale per diversi piccoli gruppi armati, attivi nel nord, poiché sostenuto dalla Turchia.
Nel 2016, Ankara con l'operazione Scudo dell'Eufrate ha sostenuto la mobilitazione delle truppe dell'FSA dirigendole (e fornendo copertura aerea, logistica e di intelligence) anche contro le Sdf, nel tentativo di impedire loro la continuità territoriale curda lungo il confine meridionale della Turchia. Il sostegno turco è stato senza dubbio decisivo per la sopravvivenza dell'FSA e per le sue avanzate militari ai danni di HTS o delle Sdf.
Il declino dell'Una
Infine, c'è Ahrar al Sham, presente soprattutto a sud (area della Ghouta vicino Damasco) ma anche con alcuni distaccamenti a nord. È il gruppo più potente all'interno dell'Esercito Nazionale Unificato (UNA), un'altra coalizione ombrello istituita a metà del 2017. Ahrar al Sham è una delle poche fazioni ribelli ad aver mantenuto la propria denominazione durante tutto l'arco temporale del conflitto.
Di imprinting ideologico salafita e anti-sciita, a metà del 2012 le brigate riconducibili all'interno di Ahrar Al Sham erano più di sessanta, concentrate soprattutto a Idlib, Hama e Aleppo. Pur avendo come obiettivo dichiarato la creazione di uno Stato islamico, a differenza dell'Isis Ahrar al Sham ha cooperato militarmente con le altre formazioni, compreso l'FSA. Mantiene la propria leadership segreta e ha ricevuto la gran parte dei finanziamenti dai Paesi del Golfo. Nell'area di Damasco è attivo anche un altro gruppo, il Jaish al Islam.
Diverse brigate associate all'UNA si sono scontrate con le Sdf, con l'Isis e con HTS per il controllo di porzioni di territorio, per poi ritirarsi in gran parte con l'intervento russo. Nonostante la maggioranza dei combattenti dell'UNA sia siriana, e possa quindi aspirare ad una maggiore rappresentatività nel Paese, la loro capacità di finanziamento sta diminuendo negli ultimi tempi, accompagnata dalla cronica incapacità di coordinamento tra i diversi battaglioni. Si stima che attualmente il 15% della popolazione siriana viva in aree controllate da diverse fazioni ribelli, ed un altro 10-15% in aree controllate dai curdi siriani.